Un illustre professore di Chimica-Fisica era solito rammentare ai suoi studenti che per capire le ragioni di una ricerca scientifica fosse necessario risalire alla Fondazione che ne assicurava il sostegno economico. Al di là dei processi razionali che incrementano la conoscenza scientifica sono le applicazioni pratiche che la rendono comprensibile ai più dandole un importante ruolo nella società.
Nel mondo in cui viviamo, contrassegnato dalla pandemia legata al Covid-19, con la cui endemicità sembra adesso sia ancora necessario convivere, crediamo sia utile fare alcune considerazioni in merito. Il premio Nobel 2023 per la medicina è stato assegnato a due ricercatori: l’ungherese Katalin Karikó di sessantotto anni e l’americano Drew Weissman di sessantaquattro, che hanno messo a punto il metodo dello Rna messenger usato per i vaccini contro il Covid.
Prima considerazione: è ormai fuori dubbio l’evidente attualità, per altro plausibile, a cui spesso si associa l’assegnazione del Nobel nella maggior parte degli ambiti siano essi scientifici, letterari, economici e anche politici. Stupisce da noi invece l’immediato peana intonato dai soliti tromboni, che dopo averci assillati sull’efficacia del vaccino della AstraZeneca, ora osannano sui vaccini ad Rna messenger, segmenti proteici riguardanti il controllo genetico della sintesi di virus ed enzimi scoperti da François Jacob insieme ad André Lwoff e Jacques Monod, che valsero loro nel 1965 il premio Nobel per la medicina.
Seconda considerazione, sempre in linea con la socialità della scienza: lo studio Origin fatto dal prestigioso Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, uno studio che analizza la relazione tra i fattori genetici e la gravità del Covid-19, che nel Bergamasco ha causato un elevato numero di morti, scomodando addirittura dei geni presenti nella popolazione bergamasca e provincia, ereditati dall’uomo di Neanderthal tali da predisporre lo sviluppo in forma grave della malattia. Sembra pertinente e condivisibile quanto scrive su “La Stampa” del 2 ottobre 2023 Alberto Piazza, Professore Emerito di Genetica presso l’Università di Torino, criticando lo studio ed evidenziandone il limite nel progetto sperimentale della ricerca svolta, per altro non proprio originale: “Che già nel 2020 Svante Pääbo, premio Nobel in Medicina per le sue ricerche in paleogenetica, aveva pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature un articolo in cui si documentava che molti dei soggetti morti di Covid avevano una serie di geni presenti nell’uomo di Neanderthal, tre dei quali sullo stesso cromosoma”, concludendo: “Perché i risultati di Origin hanno avuto una diffusione così elevata? Verosimilmente perché la rivista on line iScience è stata scambiata dai vari canali di comunicazione per la prestigiosa rivista scientifica Science, ma che con Science non ha alcun rapporto. Forse anche perché pensare che i morti di Bergamo siano dovuti alla costituzione genetica della popolazione può essere una comoda scappatoia da domande scomode sulla gestione dell’epidemia”.
In definitiva nulla di più veritiero del consiglio dell’anziano professore di cui si parlava all’inizio!