Mannaggia la bestemmia…e con quali conseguenze!

Mettiamo da parte le tante dissertazioni linguistiche e letterarie  che nella loro evoluzione semantica  danno con chiarezza l’esatto significato  della  parola “mannaggia” e come questa,  da  semplice imprecazione o esclamazione di vario tipo: di rabbia, stupore, disapprovazione, impazienza, possa diventare blasfema e quindi bestemmia. Analoghi discernimenti sarebbe possibile fare per spiegare l’uso di questo lemma in particolari locuzioni o modi di dire tipicamente dialettali  a seconda del territorio, dei wellerismi appunto, che si collocano nel quadro di una ricerca antropologico-culturale.

In ambiti religiosi, e in particolare della morale cristiana già a partire dal Medio Evo, è interessante da un punto di vista storico, e perché no curioso, esaminare le possibili conseguenze  cui una   semplice imprecazione, se riferita alla divinità, in quanto bestemmia poteva portare!  

Nel bando emanato dalla Signoria di Firenze  nel 1541, si promulgava la Legge sopra la Bestemmia in cui era riportato: ”…Che non sia alcuno nella città & dominio di questa Signoria che ardisca, o presuma bestemmiare el Santissimo Nome dello onnipotente Dio, o della sua illibata Genitrice Maria sempre Verg. Glorios. O d’alcun de suoi santi, & chi contrasarà caggia nell’infrascritte pene, come di sotto apposte e dichiarate.

 Sia condennato qualunque così maschio come femina, per la prima volta che bestemmierà in lire dugento, & in perforazione della lingua: Et se sarà habile alli Offitii sia privato di quelli di qualunque sorte e fussino, per sei mesi alhor prossimi futuri dal di della deta sententia.

Et se poi bestemmierà più, sia condannato per la seconda volta in lire trecento, & in amputazione della lingua, et privato per un anno di tutti quelli offitii a quali sarà trovato habile così nella città come in altro luogo del sopradetto dominio.

Ma per la terza & quarta volta, che incorresse in tal vitio, dopo le dette dichiarazioni, debba essere condennato in lire cinquecento, & portato  su un asino per luoghi pubblici, & consueti della giurisditione di quel Magistrato, o Rettore nelle cui mani sarà pervenuto con perforazione della lingua & anni dua di confino in galea.

Possino quelli che avanti alcuna di dette condenationi di lor fatte, o di poi havessino fatto habito del bestemmiare, o usassino bestemmie enormi, o in altro modo notabili con detti, o fatti vituperassino Iddio, o sua Santissima Madre, o lor venerandi nomi, o figure, o imagini, essere condennati in quelle maggior pene per insino alla morte inclusive e che parrà al retto, o maturo arbitrio di chi gli harà a giudicare havuto rispetto all’importantia delli casi & qualità delle persone.”.

Di sicuro i tempi sono cambiati, ed è meglio per tutti. Non è invece passato di moda il turpiloquio e per di più anonimo che fa tendenza da qualche anno, anche grazie a valenti imbonitori mediatici che ne sono stati i padri fondatori, usato come indice di visibilità quasi a voler nobilitare l’ingiuria. Diversamente: “Quanno nce vò, nce vò, dicette  ‘u vescovo”!   

Michele Vista
Michele Vista
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