Il genio Leonardo…il sommo Galileo…e il nettare di Dioniso

L’importanza della famosa bevanda legata al culto di Bacco non poteva non avere riscontro negli scritti dei fondatori della scienza moderna, oggi ancora più attuali. Assistiamo invece in questi ultimi tempi grazie alle congetture di alcuni studiosi contemporanei alla ricerca di visibilità mediatiche piuttosto che scientifiche, assai più vicine ai tanti apprendisti stregoni che popolano la galassia dei divulgatori scientifici e non, dediti in particolar modo allo studio dell’alimentazione umana mascherandolo con determinate ricerche finalizzate al solo profitto e che molte volte con la scienza leonardiana e galileiana in senso lato non hanno nulla da spartire.

Nei vari Codici che possediamo di Leonardo così come in diversi scritti dello scienziato pisano, si parla della vitis vinifera a partire dalla sua coltivazione, la fabbricazione del vino, la sua conservazione e le sue proprietà salutistiche. Una bevanda la cui storia coincide con quella dell’umanità attraverso i secoli. Leonardo scrive: il beuto vino elevò l’anima sua inverso il celabro (attraverso il vino l’anima si eleva al cervello) con buona pace di chi oggi sostiene che l’alcool contenuto nel vino rimpicciolisca il cervello. Galileo scriverà poi in una lettera a Lorenzo Magalotti: il vino è come il sangue della terra, sole catturato e trasformato da una struttura artificiosa qual è il granello d’uva, mirabile laboratorio in cui operano ordigni, ingegni e potenze congegnate da un clinico occulto e perfetto. Il vino è licòre d’altissimo magistero composto d’umore e di luce, per cui virtù l’ingegno si fa illustre e chiaro, l’anima si dilata, gli spiriti si confortano.

Nell’ultima dimora di Galileo ad Arcetri nella Villa Il Gioiello sulle colline fiorentine c’è ancora qualche traccia della vigna e dell’orto che lo scienziato era solito curare e come racconta lo stesso Galileo scusandosi con i selezionati ospiti, che venivano a visitarlo con il benestare del Sant’Uffizio, smettendo il camice da lavoro. ed indossando l’abito da filosofo.

L’interessante libro di Luca Maroni: Leonardo da Vinci e il vino (SENS – Roma 2019) è uno studio dettagliato fatto con competenza enologica ma anche archivistica nella conoscenza dei Codici leonardeschi e altri documenti, che ha permesso la ricostruzione della vigna che Leonardo curava durante il suo lungo soggiorno a Milano a poca distanza dal Cenacolo, nel cui refettorio di Santa Maria delle Grazie aveva dipinto l’Ultima cena. Casa degli Atellani fino al 1943. poi di proprietà  della Famiglia Castellini. Un lavoro di estrema difficoltà ma condotto con passione a partire dalla fine del 2007e fino al 2015, con rigore scientifico e interdisciplinarietà tra esperti di ampelografia e viticoltura applicata. Una volta trovati i resti della vite di Leonardo si è passati alla loro individuazione genetica e si è riusciti ad estrarre brani di DNA non ancora vegetetativamente inerti. E’ stato così possibile grazie al codice genetico recuperato dalla vite originale, il vitigno coltivato nel vigneto di Leonardo, e con le analisi di tale DNA si è riusciti a determinare la varietà genetica: Malvasia di Candia Aromatica. Al recupero filologico e seguito il reimpianto filologico e finalmente il reimpianto fisico del vigneto di circa un’ottantina di viti fino al 20 marzo 2015 , equinozio di primavera, perigeo lunare, luna nuova e coincidenza rara eclissi solare. Il volume contiene numerose informazioni sulle colline tra Vinci e le colline del Montalbano assai care a Leonardo e sulla passione del genio per la campagna toscana in cui è cresciuto tra la cultura della vite e dell’ulivo e sulle testimonianze scritte che ci ha lasciate nei celebri Codici e che il nostro autore ci racconta con uno stile piacevole e raffinato.

Michele Vista
Michele Vista
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