Slavorare, ultimo rimedio

L’estetica di Draghi è stata irrimediabilmente turbata dalla normalità della politica e dalle domande dei giornalisti, facendo apparire l’irritazione e il disprezzo che si celavano dietro il belletto della sua bonomia e palesando il fastidio che arrecano, a chi occupa un posto di assoluto privilegio, le critiche, le insinuazioni o la pretesa di intromettersi, se non proprio la semplice esistenza di chi non appartiene alla stessa casta.

Ma queste increspature, sulla superficie piatta della più perfetta obbedienza e del pensiero unico, questo voler “guastare la festa”, non possono che essere interpretati come segni di vita. L’ingiustizia strutturale della nostra società e del nostro sistema, che, per esempio, consente l’insolenza di una causa civile che dura anche dieci anni o lo sberleffo di un parlamento capace solo di decidere il menù della cena, o la sempre più diffusa povertà che convive col privilegio più strafottente, a fronte del più classico “la coperta è corta” tipico dei cosiddetti realisti, che rimane un ottimo espediente per giustificare tutto quello che non va, meriterebbe una seria rivolta.

Una rivolta totale, repentina, che non dia il tempo a chicchessia di trincerarsi dietro il senso comune, che approdi, per esempio, attraverso un processo di consapevolezza civica, a uno strumento come lo “slavorare”, inteso nell’accezione che diede a questa espressione la sua creatrice Valerie Solanas e che consiste nel fare, nel proprio lavoro, il contrario di quello che dovrebbe essere fatto, in maniera da “fottere” il sistema, una volta e per tutte.

Che il sistema che ci governa sia un sistema violento è fuor di dubbio. Perché è violento un qualsivoglia sistema che non utilizzi la solidarietà effettiva fra i suoi consociati. La solidarietà invece è solo sbandierata o utilizzata sempre e soltanto per pochi fortunati.

Una protesta, o rivolta, che non debba portare seco una alternativa positiva, come pretende chi comanda nel tentativo di smontare ogni forma di cambiamento (tipico quanto accaduto con la rielezione di Mattarella, quando si è affermato come non esistesse alternativa, mentre questa ben esisteva ma avrebbe comportato un cambiamento, non accettato dalla nuova forma sottile di conservatorismo latente anche in chi si dichiara democratico e progressista), ma semplicemente quello che di più costruttivo esiste e cioè la distruzione.

Distruggere per ricostruire. Distruggere un sistema che risulta, appunto, violento, non solidale, ingiusto, generoso coi forti e severo coi deboli, macchinoso e irrispettoso dell’essere umano. Perché diversamente non può definirsi un sistema piegato alla finanza che non esclude di spazzare letteralmente fuori chi la pensa diversamente, chi non ce la fa, chi protesta e chi, a questo modus, non si riesce ad adattare.

Occorre che ci si renda collettivamente conto di quanto poco respiro abbiano ormai le nostre vite, costrette fra un provvedimento amministrativo e una sentenza, un carico fiscale indegno e un disservizio costante, una politica corrotta e un bigottismo di facciata, una finta solidarietà e una ferocia normativa.

La politica ormai è una zavorra, incapace e talmente pesante da farci precipitare sempre più giù, miope, mediocre, egoista e per arrivisti o affaristi dell’ultima ora.

E basta!

Scusa, ma…

I peperoni o i cetrioli, vero?

Sì.

Tieni, prendi una bella purga, non si usano più, ma è proprio quello che ti ci vuole.

Grazie.

Dovere.

Luciano Petrullo
Luciano Petrullo
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