Esiste un duplice modo di atteggiarsi del politico potentino, ma anche lucano, suvvia. Una è quella del politico relegato all’opposizione, per il quale il cittadino è un bimbo da coccolare, stare a sentire, del quale sposarne gli umori, solidarizzando con lui nella buona come nella cattiva sorte, sostenendone le ragioni, fossero anche fuori luogo, e dio solo sa se tante volte non lo sono.
Poi c’è quella dell’amministratore che, delle ragioni dei cittadini, semplicemente, se ne frega, avendo, per Giove, cose più importanti cui badare, cose che viaggiano a livello superiore delle esigenze primarie o meno del quisque e che si attestano ai margini della stratosfera, sconfinando, talvolta, attraverso le volte celesti, nel regno dell’assoluto, tipo i loro emolumenti, la protezione dell’incarico, l’autoelogio di ogni ruttino emesso all’esito di una serena sazietà amministrativa.
Non v’è dubbio che il “come sono stato bravo io” è diventato compito primario del politico, anche perché i social sono in grado, da un lato di propagarne urbi et orbi l’autopromozione a statista e dall’altro di aiutare i bisognosi a mettersi in mostra palesando una forma di gradimento per il ruttino pari a un’estasi religiosa.
L’uso del “like” infatti è poco raccomandabile, perdendosi fra i mille; meglio un’espressione di giubilo che può accreditare meglio il fan di turno.
E fin qui tutto normale, l’arresto giurisprudenziale del senso comune non subisce contraddizioni. Il problema nasce nella necessità di passare dall’un tipo di atteggiamento all’altro. Per esempio quando vinci le elezioni e, dopo una vita a coccolare i cittadini e le loro paturnie, ti ritrovi a comandare e quindi a vedere il cittadino con occhi diversi, più saggi, senza la miopia di parte, ma con la lungimiranza, appunto, dello statista. A quel punto bisogna dare una sterzata violenta e repentina al modo di atteggiarsi, perbacco, il cittadino ormai ha svolto il suo ruolo, ha votato per il giusto, ora che andasse a scopare il mare, lui e le sue buche delle strade, che francamente hanno fatto scoppiare le balle.
Ecco, il passaggio da balia del cittadino a statista, quello con la mascella dura e lo sguardo proteso in un infinito che, giuro, varca perfino i confini di Montreale, è un passaggio indolore, una promozione a costruttore di mondi ideali, una proiezione verso la santità, che dura qualche secondo, tiè, al massimo la nottata di festeggiamenti proprio con quei cittadini ignari di essere stati già scaricati.
Nel contempo i perdenti cominciano a sentire il calore della gente, fanno proprio il loro disagio, ascoltano, miracolo dei miracoli, chiunque, facendo sì con la testa e con lo sguardo umido di chi capisce.
Anche questi non devono patire per la trasformazione che, pare, sia davvero automatica, avendo, i politici, un atteggiamento fisiologico di pronto adeguamento.
Quando si dice che si nasce politici, forse si intende proprio questo, una capacità di mutare pelle in un baleno, come un camaleonte a seconda delle esigenze.
Il cittadino nasce, invece, ostaggio, una volta di una fazione, una volta dell’altra, si culla delle promesse dell’una e si becca il calcio in culo dell’altra. Che poi le due fazioni si scambino di posto alla prima elezione, beh, la colpa è del cittadino che, se rimanesse coerente, avrebbe sempre la stessa persona ad ascoltarlo e la stessa a bastonarlo. Col che non cambierebbe niente, vivaddio, ma almeno i ruoli rimarrebbero identici, per una esigenza di chiarezza che sdoganerebbe la rassegnazione quale virtù civica.
Purtroppo sotto la chioccia dei soldi pubblici, si permettono di scomodare pure Jesu ‘ Cristo, toccati da vanesie nozioni lontane dalla ragione . Anatemi e formule magiche sono proprio quelli che hanno finito gli argomenti a tirarli fuori.