Oltre cinquantamila palestinesi – fra cui decine di migliaia di donne, bambini e anziani – sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023. I dati dell’OCHA mostrano che solo tra il 7 ottobre e il 3 aprile 2025 i morti hanno superato quota 50.523, con oltre 114.776 feriti; quasi un terzo delle vittime identificate nel periodo più recente è costituito da minori e donne. Di fronte a questa macelleria parlare di “danni collaterali” è un insulto: è la demolizione sistematica di un popolo sotto gli occhi di un mondo che, per inerzia o convenienza, resta immobile.
Dal punto di vista del diritto internazionale non c’è alcuna ambiguità. La Quarta Convenzione di Ginevra proibisce attacchi contro i civili; la Convenzione sul genocidio impone a tutti gli Stati l’obbligo di prevenire e punire. Non a caso la Corte internazionale di giustizia, il 26 gennaio 2024, ha riconosciuto il rischio “plausibile” di genocidio e ha ordinato a Israele misure urgenti per proteggere la popolazione di Gaza, reiterandole il 28 marzo 2024. L’obbedienza di Tel Aviv è stata pari a zero; l’inazione degli altri Stati complicità per omissione.
La giustizia penale segue. Il 21 novembre 2024 la Camera pre‑giudiziale della Corte penale internazionale ha respinto le eccezioni di Israele e ha emesso mandati di arresto contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità. A fine aprile 2025 i giudici dell’ICC hanno persino imposto il segreto sulle future richieste di mandato per evitare pressioni politiche. Una giurisprudenza che inchioda la catena di comando israeliana, ma resta carta straccia senza una volontà politica di farla rispettare.
Intanto le bombe non smettono di cadere: tra il 30 aprile e il 7 maggio 2025 altri 230 gazawi sono stati uccisi. Dal 2 marzo 2025 Israele ha imposto un assedio totale, bloccando cibo, carburante e medicine; le scorte dell’UNRWA sono già esaurite e 290.000 bambini sotto i cinque anni rischiano la malnutrizione acuta. Fame, sete e malattie sono diventate armi di guerra e di punizione collettiva.
Il Consiglio di Sicurezza ha adottato, a fatica, la risoluzione 2735 (2024) che “esige” il cessate‑il‑fuoco e la protezione dei civili, ma nessuno ha alzato un dito per farla applicare. Quando le norme non sono accompagnate da sanzioni reali, diventano decorazioni retoriche; anzi, legittimano l’aggressore facendogli intuire che le conseguenze non arriveranno mai.
Occorrono misure di forza, quelle pacifiche ma incisive previste dall’articolo 41 della Carta ONU: embargo totale sulle armi, congelamento dei conti bancari dei responsabili, sospensione degli accordi di cooperazione e dell’accordo di associazione UE‑Israele; revoca immediata dei trattati di libero scambio finché perdurano le violazioni. Sono strumenti già collaudati: contribuirono a smantellare l’apartheid sudafricano e oggi costituiscono l’unica leva per obbligare Israele a scegliere tra conformarsi al diritto o pagare un prezzo economico e diplomatico insostenibile.
Il boicottaggio civile completa il quadro. Fondi pensione, università, eccetera devono disinvestire dalle aziende che traggono profitto dall’occupazione; i portuali possono rifiutare di caricare armamenti diretti a Tel Aviv; i consumatori hanno il potere di prosciugare i profitti di chi alimenta il massacro. Non è “punire” Israele: è interrompere il flusso di complicità che rende possibile la strage.
La dottrina della Responsabilità di proteggere – riaffermata a livello ONU nel 2005 – chiama gli Stati a intervenire quando un governo macella i propri sudditi o un popolo occupato. Se l’intervento armato non è politicamente fattibile, lo è l’isolamento economico‑diplomatico. Il Genocidio, ricordava la corte nel gennaio 2024, è un crimine di cui “la prevenzione è obbligo erga omnes”: nessuno può invocare l’ignoranza.
Non si tratta di “prendere parte” in un conflitto, ma di difendere l’architettura stessa del diritto internazionale, nata dalle ceneri di Auschwitz per dire “mai più” a qualunque popolo. Continuare a commerciare, cooperare e rifornire armi a Israele mentre prolunga un massacro televisivo è rendere quel diritto una farsa.
La scelta è brutale ma semplice: o la legge vale per tutti o vale solo per i deboli. Se l’Europa, gli Stati Uniti e gli altri membri della comunità internazionale non impongono ora un embargo e un boicottaggio generalizzato perderanno l’autorità morale per chiedere il rispetto dei diritti umani altrove. Gaza è il banco di prova definitivo: qui si decide se il mondo che verrà sarà fondato sulle regole o sulla ragione del più forte. E ognuno di noi, Stato o cittadino, sarà giudicato di conseguenza.