Mercato dell’arte e l’arte del mercato

di Marco Gregnanin

Verrebbe da scrivere come scrivevano i critici d’arte degli anni Ottanta ma ci si rende conto che il lettore difficilmente sarebbe d’accordo che dopo quarant’anni si continuino a scrivere le stesse cose per descrivere gli stessi problemi che ancora oggi abbiamo. Basti pensare che, dal 1980 a tutt’oggi, la stampa di settore scrive: “Si è tenuto l’ennesimo dibattito su dove va l’arte in Italia”. Naturalmente dove la porta il mercato. Il mercato, elemento base del profitto, detta le regole e gli asserviti a esso ubbidiscono e si fanno banditori d’esse.

Il mercato guarda solo dove c’è guadagno, dove il profitto è l’elemento da apprezzare e dove l’artista è più ubbidiente e “riconoscente”. Allora verrebbe da scrivere, e non a torto, che il mercato lancia l’arte, i suoi gusti, le sue prerogative e l’artista diventa tale se alle spalle ha il mercato. Il quesito che ci si pone è sempre lo stesso e cioè: quale potrebbe essere la risposta. Ebbene è “il mercato che lancia l’arte, è il mercato che ne determina i gusti ed è sempre il mercato che con le sue prerogative “crea” l’artista il quale diventa tale solo se alle spalle ha il mercato. Ecco realizzato il “circolo vizioso”.

Un giovane talentuoso oggi, ad esempio, per emergere come artista deve combattere contro l’assenza dell’interesse del pubblico e la famelicità dei mercanti. Il giovane artista ottiene il successo solo se il noto critico d’arte (possibilmente televisivo) scrive su di lui, magnificandone le qualità e, se è stato ben pagato, al vanto dell’artista aggiunge anche l’invito all’acquisto delle opere da lui compiute. Ecco che inesorabilmente scatta il binomio “mercato-profitto”.

Ma il mercato ormai è diventato tutto o quasi tutto globale e quindi il suo interesse lo rivolge dove ha certezza della ricchezza territoriale. Al mercato non interessa il consenso ma il profitto, l’acquirente “ben addestrato” non deve avere “gusto” e in compenso avrà la possibilità di condividere quanto ha detto l’esperto.

Sarebbe bello se il mercato determinasse il suo interesse nei confronti di un’opera con un martello e che l’opera si chiamasse “Mosè”, di Michelangelo, e non semplicemente opera d’arte e con l’aggiunta di “moderna”. Chi vuol capire capisca, chi non capisce non si sforzi di farlo e si affidi all’”arte del mercato”.

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