L’umana satira e la provvidenziale morte

In Italia l’uso della satira, per comunicare, è garantito essenzialmente dall’art. 9 della Costituzione che riconosce e tutela il patrimonio culturale della Nazione. La libertà di stampa, invece, è garantita, sempre dalla Costituzione, dall’art. 21. Basterebbero già questi due articoli della Costituzione a garanzia del diritto di satira, ma ce ne sono anche altri che, direttamente o indirettamente, si ergono a difesa di tale “diritto”.

Le normative giurisprudenziali, nel loro insieme, considerano l’uso della satira come una espressione artistica che non è soggetta al rispetto degli schemi dettati dalla “descrizione classica” che si fa del “fatto” purché l’uso di metafore o similitudini, se pur paradossali, rendano comunque riconoscibile l’avvenimento che si ritiene di interesse collettivo.

La satira per essere tale deve contenere comicità e suscitare ilarità, deve usare espressioni ironiche ma moderate per “mettere alla berlina” i luoghi comuni, gli atteggiamenti di uso generale e spesso anche di singoli individui.    

La satira quindi, ad esempio, può mettere in evidenza i “particolari” del pensiero o delle dichiarazioni di una nota personalità che altrimenti sfuggirebbero a una normale analisi (razionale) delle realtà quotidiana, di un’”avvenimento” che ha coinvolto il singolo individuo che diviene oggetto della satira.

Naturalmente il diritto di satira non è un diritto assoluto, anche questo ha i suoi limiti e i suoi paletti: deve arrestarsi d’innanzi ai limiti posti a salvaguardia dei valori fondamentali, come quelli per il rispetto della persona.

Sia ben chiaro che satira non significa “autorizzazione” alla diffamazione o all’”infangamento sociale” della dignità della persona.

Satira deve significare rispetto, eleganza lessicale e di espressione, fatto in tono ludico, solo così può rivelarsi socialmente l’utile, per veicolare una certa informazione.

Si può affermare che l’esposizione di fatti o il riporto “burlesco” (ad esempio di una dichiarazione) attraverso la satira diventano più incisivi, severi e mai spregiudicati quando esposti in forma civile perché in essa è contenuta l’utilità sociale propria dell’informazione.

Famosa è la satira usata da Giovenale che ispirò la satira di Dante, dell’Ariosto e di tanti altri arguti letterati che attraverso essa hanno indotto il popolo alla così detta “riflessione morale”; infatti tanta gente di spettacolo ha usato l’ironia e la risata (la satire) per provocare un pensiero critico.

A tal proposito ricordiamo come, già Aristofane, dell’antica Grecia, nelle sue commedie usava la satira per ridicolizzare le figure di potere che si ponevano sul “piedistallo sociale” degli ateniesi.

Platone, ai suoi allievi suggeriva di studiare le opere di Aristofane (un genio del teatro greco) per meglio capire la cultura della società ateniese perché, attraverso la satira letteraria e teatrale, metteva in evidenza i problemi della società ateniese inducendo i governanti a profonde riflessioni.

Altro grande sostenitore della satira, come genere letterario, fu proprio il massimo esponente della poesia del pessimismo cosmico: Giacomo Leopardi il quale definiva il riso e quindi la satira come un “privilegio esclusivo del genere umano”.

Sembrerà paradossale ma lo scopo della satira è stato, è e sarà sempre il modo per indurre il popolo alla “riflessione morale” attraverso la leggerezza della risata proprio perché mette nel suo mirino i ricchi e i politici, sberleffa il l’individuo in genere, rende grottesco un atteggiamento comune e ridicolizza un qualsiasi fatto fino a renderlo evidente anche agli occhi di chi non era a conoscenza di quel fatto e sempre con “la risata”.

Paradossi e ingiustizie con la satira vengono ridicolizzati, il marcio sociale emerge tra una risata e l’altra mentre vengono messe in evidenza le ingiustizie, le arroganze e gli errori che si compiono o che si subiscono quotidianamente.

Tornando a quanto in precedenza affermato possiamo dedurre che la satira ha il solo scopo per cui è nata e cioè per sollecitare le coscienze contro il potere dominante, quando questo sbaglia e lo fa, divertendo e divertendosi prendendo a motto ciò che diceva Bakunin quando si rivolgeva ai potenti mentre ridevano (per effetto della satira): “È la risata che vi seppellirà”.

Comunque è opportuno dire che se la satira avesse solo lo scopo di provocare la risata in letteratura verrebbe definita “Commedia”, invece se si preoccupasse solo di   irridere le sventure di qualcuno si chiamerebbe “atteggiamento di cattivo gusto” e in tal caso indurrebbe il cittadino a valutare tale sconveniente operato con estrema severità perché non ci si diverte irridendo il dolore di qualcuno per la morte di un suo caro e nemmeno per la malattia o la sventura, fosse anche del mostro peggiore nemico.

Viene pure da pensare a quei problematici “poveri di spirito” che, nella satira, vedono motivi di offesa, sono quei permalosi musoni sempre arrabbiati, sono quei mediocri che non conoscono l’auto ironia.

Ebbene, per queste persone ombrose, permalose e suscettibili che non capiscono la satira e l’ironia, l’umanità non può fare altro che alzare, per loro, una cristiana prece con la speranza che, non sapendo quello che si sono negati in vita, presto lo possano scoprire con la morte (si fa per dire).

Rude Clava
Rude Clava
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