Col buono pasto i lavoratori esultano, le aziende ci guadagnano, le grandi distribuzioni incassano (buoni e soldi) e a Napoleone Bonaparte viene riconosciuta la validità del suo pensiero quando diceva che “un esercito marcia sul suo stomaco”.
Il buono pasto non rientra nei contributi fiscali può essere erogato fino a 8 euro. La legge consente alle imprese di elargire bonus che sono fiscalmente sempre più deducibili. I buoni pasto sono giustificati quando un’azienda non avendo la mensa aziendale offre ai dipendenti un contributo (precisamente dei coupon).
Questi bigliettini, che hanno acquistato valore di danaro, possono essere spesi in ristoranti o negozi di genere alimentari (ovviamente convenzionati).
Ma a questo punto però cerchiamo di capire qual è il vantaggio finanziario dell’impresa.
Si consideri che la legge prevede che l’azienda possa recuperare gran parte del costo dei buoni pasto che per un imprenditore che conta un gran numero di dipendenti ha un recupero fiscale notevolissimo e se addirittura il datore di lavoro dotasse il lavoratore di una carta (che diventerebbe come una carta di credito) avrebbe un recupero fiscale ancora più alto.
Però per il dipendente, “il buono pasto deducibile” rappresenta una provvidenziale integrazione al proprio reddito.
Secondo una logica utilitaristica dell’impresa il lavoro diventa pesante e meno gratificante se svolto “con la fame” che non porterebbe nessun tipo di utile all’impresa.
È vero che il buono pasto è valido solo per i giorni di lavoro realmente svolti dal lavoratore è altrettanto vero che diventa anche un modo di dissuasione all’assenteismo, perché il lavoratore più è presente e più guadagna.
Se ne deduce che Il buono pasto, in realtà, è diventato anche come quello che c’era alcuni anni fa e che veniva chiamato il premio di produzione, insomma il dipendente più è zelante e più viene gratificato.
Ormai anche le piccole imprese praticano l’uso del Buono pasto con accordi sempre più ampi con i rivenditori di genere oltre che per il proprio vantaggio ma anche per quello del lavoratore.
In tutto questo il sindacato che ruolo avrebbe potuto avendo visto che i vantaggi al lavoratore li ha prodotti la sua storica controparte: quella dei “padroni” e che insieme “datori di lavoro e lavoratori” sono concordi all’applicare le leggi che la politica ha promulgato (si omette il punto interrogativo alla frase per non ripetere la ormai retorica domanda ma che fanno i sindacati?).