Esiste una “terra” al limitare del territorio di Pignola (PZ), detta Arioso, nei pressi della quale sono tuttora visibili i resti di “muraglie antiche” e di una “gran quantità di frammenti”. Sono le vestigia di un antico insediamento, diruto e abbandonato per oscuri motivi in epoca medioevale. Nonostante il tempo trascorso, la tradizione popolare ha tramandato su questa terra delle storie che nel tempo hanno assunto le forme di vere e proprie leggende. Bisogna convenire che le leggende sono in genere delle invenzioni, a cui concorrono elementi aggiunti nel corso degli anni dalla fantasia di più persone, ma è anche vero che esse contengono sempre un pezzo di verità. Anche nel nostro caso la regola non si smentisce.
Gli annali, infatti, riportano di una sensazionale scoperta nella terra di “l’Ariuso” e a “raccontarla” è uno dei testimoni della vicenda, una persona colta e degna di credito: Placido Troyli, “Abate dell’Ordine Cisterciense, Patrizio della Città di Montalbano e Teologo della Fedelissima Città di Napoli”. La notizia viene riportata nellasua “Historia Generale del Reame di Napoli”, edita nello stesso anno della fantastica scoperta.
“Nel mese di febbraio di quest’anno corrente 1747…”, egli scrive, “…vi si scoverse il Cadavero di uno smisurato Gigante, dentro una cassa di creta cotta, incerchiata fuori di piombo, lunga quattordici palmi, alta cinque, e larga altrettanti. Ella era all’impiedi in terra piantata, ed all’intorno con un recinto di fabbriche di cinque in sei palmi di mattoni ben grandi, che la reggevano. Avendo io veduto un dente molare del medesimo, venuto qui in Napoli, lungo da quattro dita dei nostrali, largo poco men che due, ma scanellato nella parte di fuori e con proporzionata grossezza: aspettandosi di brieve in Napoli lo stinco, per farsene da Curiosi più distinta ricognizione, essendosi scompigliato il corpo intiero e ridotto in vari pezzi il restante dell’ossa col muovere e rimuovere di quella cassa.”
Scoperta veramente sensazionale!!
Provando ad analizzare criticamente la descrizione fatta dal Troyli ci troviamo di fronte a mille domande. Chiaramente, in assenza di strumenti efficaci all’epoca non si provò a datare i resti delle ossa, per cui non sapremo mai a quale periodo esse appartenessero e di conseguenza in quale periodo il nostro gigante visse. Né potremmo risalirci attraverso la valutazione della “bara” utilizzata, poiché l’uso della terracotta e del piombo con cui vennero realizzate le cinte di chiusura risalgono veramente alla notte dei tempi. Oltretutto non si fa menzione di corredi funebri o di fregi/epitaffi incisi sulla cassa di terracotta. Sappiamo con certezza, però, che essa al momento della scoperta si ritrovava ricoperta da uno stato di oltre tre metri di terreno e per gli archeologi questo dato rappresenta un preciso metro di misurazione del tempo.
Rimane però lo scheletro, “il cadavero di un gigante”, di notevoli dimensioni se per seppellirlo si dovette realizzare un’apposita cassa di creta cotta, lunga 3 metri e 60 centimetri, per una larghezza di m. 1.30 e di m 1.30 d’altezza.
Purtroppo ogni cosa è andata dispersa e ad oggi nonostante le ricerche solo poche annotazioni ci confermano la veridicità del ritrovamento. Ancora a distanza di un secolo e mezzo, infatti, l’archeologo e medico Michele Lacava si chiedeva se i resti di quella cassa non appartenessero piuttosto a qualche fossile di animale preistorico. La conferma che una sorta di dibattito si era aperto e che il ritrovamento è realmente avvenuto esattamente come ha raccontato Troyli. Si comprende anche la posizione di Lacava che, in qualità di medico e studioso, fatica ad accettare una figura relegata nelle leggende popolari.
Dopotutto dell’esistenza dei giganti si parla da sempre, basti pensare ai Titani, al ciclope Polifemo o allo stesso Golia che nella Bibbia viene presentato come un gigante, con un’altezza di ben “sei cubiti e un palmo”. Parlano di giganti autori antichi come Erodoto (Storie 1.68) Plinio (Naturalis Historia), Plutarco. Epoche lontanissime, certo, e questo contribuiva a far intendere i giganti come figure leggendarie: storie da favola, insomma. Eppure proprio in quel periodo, tra fine ottocento e inizio novecento, iniziano a circolare notizie di ritrovamenti di scheletri di eccezionali dimensioni provenienti da più parti del mondo. Famosi sono i resti rinvenuti nello scavo archeologico di Castelnau le Lez (Francia) nel 1890 dove si riportarono alla luce ossa umane che, a quanto risulta, gli scienziati stabilirono appartenere ad un uomo con altezza di 3 metri e 50 centimetri. Seguirono altre innumerevoli segnalazioni da ogni angolo della terra, specialmente dalle Americhe e dall’Africa con notizie di ritrovamenti di scheletri con teschi “sei volte” più grandi del classico teschio caucasico.
Via via, notizia dopo notizia, si arriva fino ad epoche più recenti. Negli anni ‘50 del secolo scorso, ad esempio, un incredibile necropoli di scheletri giganteschi venne alla luce in occasione di uno scavo sulla riva dell’Eufrate. Tutto venne trafugato ma un reperto, sebbene riprodotto, è esposto al Mont. Blanco Fossil Museum in Texas.
Anche in Italia si registrano segnalazioni di ritrovamenti di giganti, i più recenti provengono dalla Sardegna dove innumerevoli testimonianze ancora riferiscono di aver visto, toccato e giocato con resti di scheletri smisurati. Tante testimonianze, quindi, ma se i giganti siano esistiti o meno ancora oggi è considerato un mistero.
Ma ritorniamo, infine, al nostro gigante per evidenziare ancora alcuni punti che non possono essere trascurati. L’autore dell’annotazione, testimone o destinatario di informazioni di prima mano, riferisce infatti che la cassa di creta cotta venne ritrovata disposta in verticale: “all’impiedi in terra piantata”, al centro di un cerchio di fabbriche, realizzato con mattoni di grandi dimensioni, per un’altezza di circa un metro e mezzo, che la sorreggevano. Da tale descrizione si deduce che in origine il gigante non dovette essere seppellito ma orgogliosamente “esposto” alla vista, se non alla venerazione, del popolo. Esposto in tutta la sua gigantesca forma quasi si trattasse di un Menhir, e come tale ne conservi il segreto, poiché l’opinione degli studiosi non è concorde sulla sua natura. Alcuni studiosi considerano il Menhir come un elemento esposto alla venerazione, mentre altri parlano di un vero e proprio monumento funebre. Magari, nel nostro caso la sua funzione era anche un’altra… ma questa è un’altra storia e ne parleremo la prossima volta.