Stendhal: «Napoli è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo»

Le recenti, feroci polemiche calcistiche mi hanno portato alla mente un’affermazione di qualche mese fa del regista e attore milanese Franco Branciaroli: “Basta coi film su Napoli! È come se l’Italia fosse solo questa banda di napoletani!”.

Franco Branciaroli, fino ad allora a me del tutto ignoto, espresse in tal modo la sua insoddisfazione all’indomani di una nota rassegna cinematografica in cui artisti napoletani avevano fatto incetta di premi. Evidentemente non era riuscito a farsene una ragione.
Restai molto colpito dalle sue parole: le trovai estremamente ineleganti, rozze, volgari, razziste e violente.

Non entro nel merito della questione, ciascuno ha il diritto di pensare e comportarsi come preferisce, ed in ultimo un premio cinematografico è sempre frutto di valutazioni soggettive. Credo però che il suddetto Branciaroli avrebbe potuto e dovuto esprimersi in maniera diversa, più pacata, più rispettosa. Magari dicendo “da un gruppo di napoletani”, oppure, che so, “da napoletani”, o altro ancora. Ma non lo fece. Scientemente? Penso proprio di sì.

Le parole sono importanti, chi meglio di un uomo di teatro dovrebbe saperlo, e il termine “banda” ha innegabilmente un che di dispregiativo. Viene infatti adoperato per indicare incapaci, idioti (a Napoli diciamo “banda ‘e scieme”), ma soprattutto delinquenti (banda della Magliana, banda Bassotti, banda della Uno bianca, banda del buco), o musicisti (generalmente) non eccelsi, da banda di paese dunque.
Ne consegue che, ancora nel 2023, finiamo per tornare al punto di partenza, al solito cliché: il meridionale, il napoletano in particolar modo, può essere soltanto malvivente o guitto. Tertium non datur.

Il napoletano allegro, caciarone, che canta e balla, che suda la vita e che s’inventa la qualunque per sbarcare il lunario, insomma che recita fedelmente il folcloristico ruolo assegnatogli fin dal 1861, fa simpatia. Molta meno invece ne fa il napoletano che si mette in testa di fare altro e riesce pure a farlo bene, talvolta perfino meglio di altri. Allora il resto del Paese s’indispettisce, storce il naso, fatica a celare il fastidio. E poco importa se l’ambito è quello calcistico, quello artistico o altri, lo sdegno al cospetto dell’usurpatore resta evidente.

Avvezzi a una Napoli eternamente sudicia, derelitta, stracciona, sguaiata, sottosviluppata, e non certo a vederla primeggiare, agli italiani la cosa rode non poco, poiché va a sgretolare certezze antiche, ataviche. Da oltre 160 anni, difatti, sedicenti storiografi e giornalisti assegnano loro una superiorità morale, intellettuale, estetica, concettuale, organizzativa. Capirete allora quanto possa costargli ammettere che le cose non stanno affatto così. La loro superiorità è soltanto presunta, è artefatta, irreale. Semplicemente non esiste.
Non esiste neanche quella opposta, naturalmente: di sicuro noialtri non ci riteniamo migliori di loro. Ma nemmeno peggiori. Soltanto diversi. Per fortuna.

Paolo Mormile
Paolo Mormile
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