“Chi i miei filetti assaggia dice: Mannaggia!” Così recita lo spot pubblicitario di una nota marca di tonno. Rifletto e non capisco: mannaggia a chi? Mannaggia al tonno, mannaggia a chi l’ha pescato, a me che non l’avevo mai assaggiato, oppure, mannaggia a chi me l’ha offerto, a chi ha confezionato?
La frase non è esplicita e il dubbio mi resta. Comunque, è chiaro che più si cerca una risposta e più si rischia di “abboccare all’amo” lanciato dalla pubblicità e fare proprio la fine del “tonno”, che spero sia stato almeno pescato all’amo. Comunque si pensi in fatto di pesca è innegabile che il “mannaggia”, in qualunque contesto viene espresso, prelude a una bestemmia o quantomeno a una maledizione.
Dal punto di vista formale, gli esperti, pur concordando sull’origine meridionale del termine, vista la presenza di “aggia” che in ambito meridionale significa “abbia”, mantengono opinioni diverse sull’etimologia. In particolare per alcuni, mannaggia nasce dalla fusione di tre parole “mal(e) n(e) aggia”, ossia “male ne abbia”, mentre altri ritengono che si tratti più di una forma sincopata di “malannaggia”, da cui “malanno e aggia”, in pratica che “abbia un malanno”.
Appare così evidente che gli esperti saranno pure divisi sulla precisa etimologia, ma non possono che concordare sulla natura di maledizione del termine. Nulla aggiunge, comunque, poiché il senso appariva già recepito proprio in questo modo, tanto che finanche i grandi della letteratura del passato ne hanno fatto uso con queste finalità. Si pensi ad esempio al celeberrimo Manzoni, che nel capitolo XV de “I Promessi Sposi” inserisce “malannaggia la furia”, oppure a Verga, che nelle “Storie del Castello di Trezza”, inserisce un sonoro “malannaggia l’anima tua.” Basterebbero solo questi due esempi per rendere evidente il radicamento dell’espressione, non solo perché si tratta di autori di alta valenza ad averli utilizzati, ma anche perché la diversa provenienza degli stessi evidenzia l’ampiezza dell’area geografica in cui l’imprecazione era in uso già nei secoli scorsi.
Provando a entrare più nello specifico, comunque, attingo alla mia esperienza personale per parteciparvi un ricordo che mi provoca sempre un certo malincuore. Si tratta di un episodio degli anni Sessanta che mi vede protagonista insieme a una mia nonna cui ero particolarmente legato. Da lei, in quell’occasione, ricevetti la prima lezione sull’argomento. Eravamo in quegli anni ed io non ne avevo più di sette. Ricordo, comunque, che in un diverbio con un mio fratello, gli lanciai un: “mannaggia chi t’è biécchië”. Più che mio fratello, però, ne rimase amareggiata mia nonna, che, in disparte, mi rimproverò: “lo sai che con questa espressione hai bestemmiato proprio me?”
Ne fui sorpreso, non ne avevo assolutamente idea. Sapevo già che mannaggia fosse il preludio alla bestemmia, ma credevo che quella che avevo espresso fosse un’espressione di scarsa rilevanza. Avevo, invece, colpito una persona che mi stava molto a cuore e lei ne aveva risentito. Il suo rimprovero fu per me una lezione davvero, ma sul senso della “bestemmia” rimasi perplesso.
Mi pareva incomprensibile che avessi provocato “offesa” perché sapevo bene che in una ideale “classifica” delle bestemmie quella da me usata era la più tollerata dagli adulti e di questo non potevo sbagliarmi. Certamente era molto più tollerata di quella indirizzata ai morti (mannaggia chi t’è muortë) a volte anche con il prefisso rafforzativo (mannaggia chi t’è stramuortë) che in definitiva malediva il sangue dell’intera stirpe, anche se da noi era odiata soprattutto perché, ci dicevano che: “i morti non si possono difendere”.
Nel corso del tempo sospettai anche che la tipologia della mia imprecazione fosse assimilabile più a quelle bestemmie depotenziate. Ne esistevano molte e in questi casi si usava lasciare il termine “mannaggia” ma sostituire il naturale obiettivo della bestemmia con una parola “assonante”, creando una sorta di eufemismo. Ad esempio si utilizzava:
- La madosca, per Madonna;
- Cribbio (anche Crisci) per Cristo;
- Sandë Nientë (nessun santo), per tutti i santi;
- L’Anzëca tova, per l’anima tua.
Ecco, io pensavo che potesse essere una di queste o, al massimo, una di quelle altre che avevano un obiettivo generico. Anche di queste allora se ne usavano tante, e se ne usano tuttora in verità. Bisogna, però, convenire che, riflettendoci, molte di queste imprecazioni un senso, pur anche bislacco, avrebbero dovuto averlo comunque. Si tratta allora di cercarlo. Chissà che non conservano un risvolto interessante e magari ingiurioso per alcuni.
Incominciamo con “Mannaggia la Marina!” Questa è una bestemmia comunissima dalle mie parti tanto da apparire anche piuttosto banale. Invece, in questo caso pare che l’onta esista davvero e la maledizione abbia un suo senso specifico. Secondo alcuni, infatti, l’origine di questa bestemmia risale addirittura al 1860, un momento topico dell’Unità d’Italia. Pare comunque che a pronunciarla sia stato proprio il re di Napoli in persona. Francesco II di Borbone, appena saputo che le navi della Marina, un punto di forza del suo esercito, non si era degnato di intervenire per contrastare lo sbarco dei Mille pronunciò proprio questa imprecazione: “Mannaggia alla Marina”. Anche “Mannaggia alla Miseria” allora, che rimane banale se s’intende in modo generico, ma che dovrebbe intendersi più specificatamente come: maledetta sia la miseria che ha determinato questa situazione; la miseria che mi ha portato a essere in questo posto o che mi ha ridotto in questo stato. Ed ecco che in quest’ottica la bestemmia si trasforma e si depotenzia, come ad esempio appare nel caso di “mannaggia u’ ciucciariello”.
Piuttosto, questa assume un aspetto più dirompente, quasi di protesta, di rivendicazione sociale e finanche, al culmine della rabbia, preannuncio di rivolta. Dietro questa bestemmia, in questo caso è facile anche intravvedere l’ombra di un bersaglio preciso, ossia quella di chi viene considerato causa determinante dello stato di indigenza economica, ma anche culturale. In pratica ci sono i governanti, il clero, la divinità.
La registrazione dell’utilizzo di “Mannaggia alla Maiella”, invece, lascia qualche perplessità in più. Chiaramente è un’imprecazione di importazione, anche se non è noto come mai si sia radicata anche a Pignola, considerata la notevole distanza geografica che la separa dall’Abruzzo. Difficile appare anche comprendere come e con quale finalità essa sia stata “mutuata”. Questo perché nemmeno in Abruzzo, dove certamente l’imprecazione deve essere nata e dove è tuttora presente, esiste una interpretazione univoca. Alcuni, ad esempio, forse per l’assonanza, la considerano come una naturale sostituzione delle imprecazioni verso la Madonna. In questo caso, pertanto, si qualificherebbe come bestemmia depotenziata. Altri, invece, ne colgono un preciso riferimento addirittura a Maja, la mitica divinità che, secondo la leggenda, rimase pietrificata sulla Maiella che da essa prese il nome. La dea era venerata come protettrice dei raccolti e questo potrebbe connotare diversamente il senso della bestemmia. Con questo significato, inoltre, potrebbe averla recepita anche la locale realtà contadina, che, peraltro, poteva utilizzarla liberamente senza temere le “furie ecclesiastiche”.
Non mi pare, però, che possa classificarsi di questo genere quella mia imprecazione dell’infanzia e a questo punto mi arrendo. In effetti, bisogna ammettere che aveva ragione mia nonna a risentirsene. Infatti, trovandomi ad approfondire l’argomento, nel tempo ho realizzato come all’epoca doveva essere ancora vivo nel nostro dialetto il ricordo del termine arcaico “biecchië” , per dire vecchio, invece di “vecchië” il termine dialettale corrente al mio tempo. Pertanto il senso reale della bestemmia da me pronunciata dovette risuonare alle sue orecchie più o meno così: “male ne abbia chi ti è vecchio” (i vecchi della tua famiglia.)
Mi arrendo e l’unica giustificazione che mi resta è che non volevo arrecarle un’offesa. Non è molto, mi rendo conto e allo stesso modo rimane poca cosa giustificare chi dice che “mannaggia” ha ormai un uso frequente che ne banalizza il senso.
Ovviamente nemmeno nel caso “dei filetti di tonno” della pubblicità, poiché anche un “mannaggia”, sic et simpliciter, nasconde comunque l’obiettivo della bestemmia, basta ricostruire il contesto. Ecco, quindi, che “mannaggia” si configura come una bestemmia solo apparentemente innocente. Almeno così la penso, precisando che la riflessione non origina da particolari posizioni o giudizi, pertanto rimane un semplice “esercizio accademico”. D’altronde a nessun contributo potrebbe portare se non alla riflessione. I momenti di rabbia, la sofferenza, il malessere, la frustrazione troveranno ancora la stura nella bestemmia, c’è da crederci, anche se, come chiosa un motto pignolese: “Mannaggia, mannaggë, ma si astemë chi n’aggë”, (Mannaggia, mannaggia… ma se bestemmio cosa ne ricavo?).