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La recente creazione letteraria di Francesco D’Angiò, intitolata “Verranno a perderci in trionfo“, pubblicata dalle prestigiose G.C.L. Edizioni nel 2022, emerge come un’opera suddivisa con maestria in quattro sezioni, ciascuna inaugurata da un’immagine suggestiva che evoca il contenuto specifico. “Una vita in prestito” si apre con l’immagine di un cancello, simbolo eloquente del transito che caratterizza l’esistenza umana. La successiva sezione, “I secondi abbandoni”, è introdotta da un’immagine di una dimora abbandonata, evocativa delle solitudini e delle perdite che permeano il tessuto umano. “La disperanza”, terza sezione dell’opera, presenta un segnale stradale solitario, piantato in un desolato paesaggio rurale, suggerendo la diffusa apatia che spesso pervade anche gli ambienti urbani e periferici. La conclusiva sezione, intitolata “un ateo che crede in dio”, è annunciata da un’edicola votiva, raffigurando il paradosso dell’umanità contemporanea, in cui la ricerca spirituale e la disillusione convivono. Il titolo stesso della raccolta, con la sua suggestione di un inevitabile smarrimento, richiama l’attenzione sulla complessità e la confusione della condizione umana odierna, in cui l’essere umano ha complicato ogni aspetto della propria esistenza. Paolo Polvani, nella prefazione, dipinge la poesia di D’Angiò come una forma letteraria impenetrabile, che si apre lentamente, rivelando uno sguardo segnato da molteplici esperienze di disincanto. Questa poesia, ruvida e sfuggente, si svela all’improvviso, offrendo suggestioni malinconiche e profonde riflessioni sullo stato dell’animo umano.
Bellezza e fragilità: temi centrali nel Testo N. 43
I muretti a secco a sera
si concedono ai papaveri,
da tempia a tempia
il sangue in spalla s’asciuga
scoprendo gli occhi rigidi.
Ci hanno fatto un regalo
con piedi d’infanzia
in pozzanghere ferme
al treno mai perso,
ora che la condanna
per chi dice poco
è un refuso nella margherita
sfogliata,
non m’ama perché il cartello
non disturbare
è dalla parte sbagliata.
Parlo della vita nella ragione
dei romanzi,
un’oscillazione mortale di voglie
per ripararsi a volte
nei corpi piovuti con il caldo,
o come si faccia finta di capire
quanto ci dispiace che nessuno
ci abbia mai baciato sul petto
la mattina presto. – Francesco D’Angiò –
di Luigi Pistone
Il testo N.43 si presenta come una poesia dall’impronta fortemente evocativa che si snoda tra immagini suggestive e riflessioni filosofiche sulla natura umana. Attraverso l’uso di una prosa poetica ricca di simbolismi e metafore, l’autore dipinge un quadro suggestivo dei “muretti a secco a sera”, un’immagine che evoca un senso di quiete e contemplazione. L’accostamento dei muretti ai papaveri, simboli di fragilità e bellezza effimera, suggerisce un contrasto tra la solidità dell’architettura e la vulnerabilità della natura. La successione di immagini poetiche, come “il sangue in spalla s’asciuga”, “gli occhi rigidi” e “piedi d’infanzia in pozzanghere ferme” crea un’atmosfera di mistero e suggestione, invitando il lettore a immergersi in un mondo di simboli e suggestioni. L’uso del linguaggio figurato e delle metafore, come nel caso della “condanna per chi dice poco” e del “refuso nella margherita sfogliata” conferisce al testo un’aura di enigmatica profondità. La poesia si articola poi attorno a una serie di tematiche esistenziali e filosofiche tra cui l’oscillazione mortale delle voglie umane e il desiderio di riparo nei “corpi piovuti con il caldo”, una metafora fortemente suggestiva dell’abbraccio umano come rifugio dalle incertezze della vita. Inoltre, l’autore esplora il tema del rimpianto e dell’insoddisfazione rappresentato dalla mancanza di gesti affettuosi come un bacio “sul petto la mattina presto”. La poesia N.43 si distingue per la sua capacità di evocare emozioni profonde e suscitare riflessioni sul significato della vita e dell’esistenza umana. Attraverso un linguaggio poetico raffinato e suggestivo Francesco D’Angiò ci invita a esplorare i misteri dell’animo umano e a contemplare la bellezza e la fragilità del mondo che ci circonda.
L’infanzia e il peso della crescita nel Testo N.36
L’assedio dell’infanzia dura poco,
poi c’è l’ora d’aria e gli occhi chiusi
con i fogli che volano per la stanza,
con le carezze che mancano da troppo
tempo, e le lacrime ferme ai blocchi
di partenza.
E l’incarico di salvare il mondo
che nessuno ci ha dato,
ci pesa sulle spalle
perché il mondo non si salva con noi.
Ma ho due coltelli,
uno per affettare i rimpianti
e l’altro gli istanti,
ed affittargli una stanza
per inchiodarli al muro
e ripetere gli stessi errori.
Quest’anno l’oleandro
ha messo su due fiori,
e l’unico senso che trovo
è ancora soltanto nei suoi colori. – Francesco D’Angiò –
di Luigi Pistone
Il Testo N.36 si presenta come una poesia di profonda introspezione, intessuta di metafore e simbolismi che evocano un’atmosfera di malinconica contemplazione dell’esistenza umana. Attraverso uno stile poetico ricco di suggestioni, Francesco D’Angiò offre al lettore uno sguardo penetrante sull’esperienza dell’infanzia e il peso dei rimpianti e degli errori che caratterizzano il percorso verso la maturità. L’immagine dell’assedio dell’infanzia, con i suoi occhi chiusi e le carezze mancanti, evoca una sensazione di chiusura e oppressione, simboleggiando il momento di transizione tra l’innocenza dell’infanzia e le responsabilità dell’età adulta. I fogli che volano per la stanza rappresentano le esperienze e le emozioni che sfuggono al controllo, mentre le lacrime ferme ai blocchi di partenza rimandano a un senso di impotenza e immobilismo di fronte alla sfida della crescita. L’incarico di “salvare il mondo” emerge come una metafora della ricerca di significato e scopo nell’esistenza umana, una responsabilità che pesa sulle spalle del protagonista senza offrire soluzioni concrete. Questo tema s’intreccia con l’immagine dei due coltelli, simbolo della dualità dell’esperienza umana: da un lato, il taglio dei rimpianti e degli istanti, dall’altro, la ripetizione degli errori e la perpetuazione dei cicli di sofferenza. La presenza dell’oleandro, con i suoi due fiori, aggiunge un ulteriore strato di significato alla poesia. L’oleandro, con le sue foglie velenose e i suoi fiori dai colori vivaci, rappresenta la dualità della vita, la bellezza e la pericolosità che coesistono nel mondo. L’unico senso che il protagonista trova ancora risiede nella contemplazione della natura, nei suoi colori vibranti che offrono un momento di pace e riflessione in mezzo al caos e alla confusione dell’esistenza umana.