Nel torbido frangente dell’agonia del diritto ungherese si staglia sinistro l’atroce spettacolo di Ilaria Salis, vittima dei ceppi di una giustizia contorta, ammanettata tra l’implacabile presa di due sgherri incappucciati, in tute di camuffamento: un’immagine tanto cruda quanto eloquente, epitome della perversione giudiziaria ai tempi di Viktor Orbàn. Una scena dantesca, dipinta con i pennelli del terrore, della sfiducia, della umiliazione e della vergogna.
In questa terra martoriata dal tentacolare abbraccio del potere politico, il cui ghigno si è stretto sempre più negli anni attorno all’indipendenza della magistratura, si aprono i cancelli dell’inferno per Ilaria Salis, condannata non dalla prova bensì dall’arbitrio di una procura che, nell’eccesso del suo zelo, richiede undici anni di carcere per lesioni così lievi da sembrare un capriccio del destino. Un’offesa al senso comune, un’oscenità giuridica che riporta alla memoria il vecchio codice fascista di Rocco.
E così Ilaria Salis, relegata da un anno in una prigione ungherese, patisce l’agonia delle condizioni detentive più spietate, intrappolata in un regime di isolamento riservato solitamente a criminali di alto profilo. La luce dell’indagine, che dovrebbe scandagliare le tenebre delle carceri, viene spenta dall’ombra dell’opacità, con le autorità ungheresi che si chiudono alle inchieste della società civile, recidendo gli accordi di cooperazione e intrecciando una fitta rete di segreti.
Pare che nel chiarore livido del diritto il ministro Nordio osi puntare il dito accusatorio verso l’Italia, dimentico del passato oscuro di eccessi giudiziari. Eppure, se l’oblio non ci ha avvolto del tutto ricordiamo i giorni in cui la compassione dei magistrati ridusse le pene inflitte ingiustamente, come fu per Silvia Baraldini, un’altra vittima di una giustizia smarrita.
E mentre il ministro si ‘innalzerebbe’ a paladino della salute del ‘torturatore’, voltando le spalle al grido di aiuto di Ilaria Salis, noi, testimoni dell’ingiustizia, chiediamo giustizia, non solo per la sua libertà, ma per l’idea stessa di un diritto umano ed equo, calpestato nei meandri bui di una prigione ungherese.
Se si trattasse di un cittadino americano coinvolto in una situazione simile a quella di Ilaria Salis in Ungheria, il governo potrebbe intraprendere diverse azioni per proteggere i diritti del cittadino e assicurare il suo benessere.
Il governo americano fornirebbe assistenza consolare al cittadino americano detenuto in Ungheria, assicurandosi che riceva adeguata assistenza legale e consolare durante il processo legale. Gli Stati Uniti potrebbero utilizzare canali diplomatici diretti con il governo ungherese per esprimere preoccupazione per le condizioni del cittadino americano e chiedere un trattamento equo e umano. Il governo americano potrebbe lavorare con altri Paesi, organizzazioni internazionali e ONG per sollevare la questione a livello internazionale e fare pressioni sul governo ungherese affinché rispetti i diritti umani e lo stato di diritto. In casi estremi di violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, il governo americano potrebbe considerare l’applicazione di sanzioni contro il governo ungherese o l’adozione di altre misure punitive. Gli Stati Uniti potrebbero continuare a monitorare da vicino la situazione del cittadino americano detenuto in Ungheria e pubblicare rapporti sullo stato dei diritti umani nel paese per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e altre agenzie governative coinvolte potrebbero lavorare insieme per garantire che il cittadino americano riceva l’assistenza e la protezione necessarie durante il suo periodo di detenzione e procedimenti legali.