Immaginiamo una landa remota, persa tra colline che nessuno conosce e boschi che persino le lepri evitano. In questo angolo di mondo, c’è un luogo il cui nome è tanto evocativo quanto ironico, quasi una via di Damasco, cuore pulsante della cultura universale, centro del mondo, una nuova visione del sapere! Non c’è nome più dolce per una frazione che conta così poche anime da poterle radunare tutte su un’unica panchina… e avanzerebbe ancora spazio per il gatto del villaggio.
In tempi remoti, quando gli dèi ancora passeggiavano tra gli uomini (o almeno così ci raccontano i vecchi storici), questo posto doveva essere il crocevia di poeti, filosofi e visionari. Le cronache narrano che addirittura Omero si sia fermato qui per rifocillare la sua sete epica. Ma oggi, ahimè, il suo canto risuonerebbe in un silenzio così assoluto da far invidia a qualsiasi immensità illuminante. Eppure, nonostante questa desolazione numerica in tal luogo la cultura non solo resiste, ma addirittura trionfa! È qui che la poesia si mescola con l’odore di fieno e la filosofia con il canto delle cicale, laddove un tempo era l’armonioso ticchettio dello sgranare le pannocchie di granturco.
Il condottiero di questa rinascita culturale, armato di un microfono traballante e di un faro che illumina più le zanzare che i volti degli astanti ha deciso di trasformare la vecchia aia del nonno in un tempio della cultura. Non un tempio qualunque, badate bene, ma un santuario dove ogni pietra racconta storie e ogni spiga di grano è un libro in attesa di essere sfogliato.
Fu così che, in una notte di mezza estate, si diede inizio a una delle più grandi manifestazioni culturali mai viste con un programma tanto ambizioso quanto variegato. Le sedie, disposte in modo apparentemente casuale ma in realtà secondo un preciso disegno cosmico, aspettavano solo i pochi deipnosofisti eletti a partecipare in tale simposio dello spirito.
E quali meraviglie! Quali panorami mozzafiato si aprivano alla vista degli astanti! Montagne sacre, valli incantate, villaggi dal nome altrettanto poetico si profilavano agli occhi increduli dei partecipanti. Erano in pochi, è vero, ma di fronte a tale maestosità, persino il più cinico degli spettatori non poteva che sentirsi parte di qualcosa di grande, anzi, di epico! Che dire poi delle ninfe dai nomi altisonanti? Eh sì, c’erano anche loro, spiriti dei campi e della natura nascosti dietro gli alberi o forse solo nelle ombre della nostra mente pronti a dire che tutto questo era solo un fuoco di paglia, una scintilla destinata a spegnersi con la prima pioggia. Ma si sbagliano e di grosso! Perché il luogo oggetto del nostro interesse non è solo un luogo, è un’idea, un sogno, un piccolo miracolo! È la dimostrazione che, anche nel più piccolo dei villaggi, la cultura può fiorire come un papavero nel deserto e che i rondoni, anche se pochi, possono sempre annunciare la primavera.