Sentenza storica per il soccorso in mare dei migranti e una bocciatura per il governo italiano, la firma è della Corte di giustizia europea. Le navi di organizzazioni umanitarie che conducono un’attività sistematica di ricerca e soccorso possono essere sottoposte a controlli da parte dello Stato di approdo, ma quest’ultimo può adottare provvedimenti di fermo soltanto in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente, tutte circostanze che vanno provate dallo Stato che adotta il provvedimento. La Corte di Lussemburgo si è pronunciata sul caso delle due navi Sea Watch 3 e Sea Watch 4, oggetto di fermo ai porti di Palermo e di Porto Empedocle nell’estate del 2020. Per prendere tale provvedimento, le autorità italiane avrebbero dovuto dimostrare “in maniera concreta e circostanziata, l’esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente”. In ogni caso, “spetta al giudice del rinvio verificare il rispetto di tali prescrizioni”, ha aggiunto la Corte.
Le due navi furono oggetto di ispezioni da parte delle capitanerie di porto, con la motivazione che non erano certificate per l’attività di ricerca e soccorso in mare e avevano imbarcato un numero di persone ampiamente superiore a quello autorizzato. Inoltre le autorità portuali affermarono l’esistenza di carenze tecniche e operative che comportavano un evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente che richiedevano il fermo delle navi. La Sea Watch fece ricorso al Tar Sicilia per l’annullamento dei provvedimenti, sostenendo che le capitanerie avrebbero violato i poteri di cui dispongono le autorità dello Stato di approdo. Il Tar, a sua volta, si rivolse alla Corte, che, riunita in Grande Sezione, ha ribadito l’importanza, anche nell’applicazione della direttiva 2009/16 sui controlli nei porti, gli Stati membri “sono tenuti a rispettare… la convenzione sul diritto del mare e la convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare”.