Premessa
“Disperato Erotico Sud” è una raccolta di racconti che ambisce a esplorare l’erotismo e la disperazione nel contesto del Sud Italia; sebbene il testo presenti alcune qualità ci sono diversi aspetti che meritano maggiore “dis-attenzione”. In primo luogo la struttura narrativa appare eccessivamente frammentata. La scelta di includere ventiquattro autori diversi, ognuno con il proprio stile e approccio, porta a una disomogeneità che può risultare disorientante per il lettore. La mancanza di un filo conduttore chiaro e coerente rende difficile mantenere l’attenzione e l’interesse nel corso della lettura. In secondo luogo l’uso del dialetto, sebbene inteso a conferire autenticità e profondità regionale, rischia di escludere i lettori non familiari con le specifiche varianti linguistiche utilizzate. Questo può creare una barriera alla comprensione e limitare l’accessibilità dell’opera a un pubblico più ampio. Un altro punto critico è la rappresentazione dell’erotismo. Molti racconti, nel tentativo di essere provocatori o trasgressivi, finiscono per cadere in descrizioni che possono apparire volgari o forzate. Questo approccio può risultare gratuito e privo di quella raffinatezza che un tema così complesso e sfaccettato richiederebbe. Dal punto di vista tematico la scelta di alternare racconti drammatici a quelli ironici crea un contrasto che, anziché valorizzare la pluralità di voci, accentua l’incoerenza complessiva del “testo”. Alcuni racconti sembrano perdere di vista il tema centrale, dilungandosi in dettagli superflui o in sotto-trame che non aggiungono valore alla narrazione principale. La qualità della scrittura è variabile. Mentre alcuni autori mostrano una padronanza linguistica e stilistica notevole altri offrono racconti che mancano di originalità e profondità. “Disperato Erotico Sud” è un testo ambizioso che però non riesce a realizzare completamente le sue premesse. La frammentazione stilistica, l’uso escludente del dialetto, la rappresentazione spesso superficiale dell’erotismo e la qualità disomogenea dei racconti rendono il testo un’esperienza di lettura frustrante; nel complesso l’opera manca di quella coesione e maturità narrativa necessarie per affrontare in modo efficace e coinvolgente i temi proposti.
Analisi
È alquanto inutile analizzare i “contributi” dei singoli “autori” quindi ci soffermeremo solo su uno: “Un solco infelice” di Giampiero D’Ecclesiis.
“Un solco infelice” potrebbe essere un titolo promettente ma Giampiero D’Ecclesiis riesce a trasformare ciò che poteva essere una riflessione profonda sull’arte e la creatività in un pasticcio volgare e privo di senso. Il capitolo è una sequenza di eventi improbabili e descrizioni ridicole che non fanno altro che sottolineare la superficialità del testo. D’Ecclesiis tenta di evocare una profondità artistica con descrizioni pretenziose e artificiose ma il risultato è una prosa pesante e soporifera. Le frasi sono infarcite di metafore scontate e ridondanti che non riescono a mascherare la banalità del contenuto. Il tentativo di emulare una narrazione introspettiva si trasforma in un guazzabuglio di frasi vuote e pompose, privando il testo di qualsiasi autenticità. La psicologia dei personaggi è trattata con una superficialità sconcertante. Francesco Lusi, il protagonista, è descritto come un artista di provincia frustrato, ma la sua evoluzione è tanto credibile quanto un romanzo d’appendice di bassa lega. La sua ossessione per il “culo perfetto” della tabaccaia è presentata come una rivelazione artistica, ma risulta solo patetica e puerile. L’intero capitolo sembra una maldestra esplorazione delle pulsioni sessuali maschili, priva di qualsiasi sfumatura psicologica o introspezione autentica. Se D’Ecclesiis aveva intenzione di fare un’analisi psicoanalitica del desiderio e della frustrazione, ha fallito miseramente. L’ossessione di Lusi per il sedere della tabaccaia è trattata con una volgarità che svilisce qualsiasi tentativo di introspezione. Invece di esplorare le complessità del subconscio l’autore si limita a descrivere fantasie sessuali in modo crudo e scontato. Il tentativo di sublimare il desiderio sessuale in espressione artistica risulta forzato e ridicolo, trasformando Lusi in una caricatura di un artista tormentato. La scena in cui Lusi scopre il “culo perfetto” è talmente assurda che sfiora il comico. La descrizione del suo tentativo di avvicinarsi al sedere come se fosse un pellegrino che scopre una reliquia sacra è patetica. Il climax della narrazione, con Lusi che viene interrotto proprio mentre sta per raggiungere l’apice del suo desiderio, è degno di una farsa teatrale non di un romanzo che pretende di essere serio. “Un solco infelice” è un capitolo che fallisce su tutti i fronti: stilisticamente, psicologicamente e narrativamente. La pretesa di D’Ecclesiis di esplorare le profondità dell’animo umano attraverso le ossessioni sessuali del suo protagonista si rivela un esercizio di vanità letteraria, privo di sostanza e di vera comprensione delle dinamiche psicologiche. Invece di offrire una riflessione profonda il capitolo si riduce a una serie di scene grottesche e imbarazzanti che lasciano il lettore con una sensazione di fastidio e delusione.