Esempio illuminante, il libro di recente pubblicazione di Alberto Grandi e Daniele Soffiati edito da Mondadori dal titolo: La cucina italiana non esiste. È senza dubbio un titolo scelto con maestria e intenti pubblicitari ben collaudati ma che presenta notevoli carenze storiche temporali di non poco conto.
Parole come cibo, cucina, alimentazione, tradizione e arte culinaria o più correttamente gastronomia si confondono nel loro significato primario in un testo, quasi un labirinto di considerazioni oscillanti tra il cosiddetto marketing e il sociale. Oggi si chiacchiera di continuo sulle identità in ogni settore della vita quotidiana e non poteva certo mancare il riferimento alla nostra alimentazione. Nel voler parlare della cucina italiana è necessario esaminare il contesto storico temporale cui riferirsi. La nazione Italia nasce nel 1860, la tradizione gastronomica che caratterizza le diverse territorialità della nostra penisola è altra cosa. L’affermazione del paradosso di una cucina che per esistere debba negare la sua esistenza è fin troppo generica e non porta da nessuna parte. Non è sufficiente la corposa bibliografia citata così come l’interpretazione parziale dei tanti testi che possono essere letti, ammesso che i nostri l’abbiano fatto, in maniera più approfondita.
Nel considerare le varie epoche da quella antica a quella medievale, così come dalla fase rinascimentale a quella moderna è importante chiarire il significato che viene dato alle parole relative alla storia dell’alimentazione in generale. Pretendere di dare un giudizio di merito categorico, come fanno i nostri autori, con l’assurda pretesa di sfatare il mito della cucina italiana sottolineando invece la creatività dei tanti cuochi o chef italiani contemporanei non ha alcun senso poiché la maggior parte di loro sono ottimi allievi di quel linguaggio televisivo ed immaginifico che tali testi incrementano a dismisura e con un merito singolare: quello di foraggiare un’ignoranza storica e geografica di base!
Sostenere che la vera cucina è americana è un analogo paradosso qualora non si consideri il contesto storico sociale cui ci si riferisce. Si abbia invece il coraggio di denunciare il colonialismo alimentare cui siamo stati assoggettati negli ultimi decenni da parte della Grande Mela anziché esaltare la fantasia creativa dei cuochi nostrani ma passiva nella sostanza.
Non ha senso parlare di gastronazionalismo o gastrolocalismo se non si consideri anche il processo di civilizzazione dell’occidente e la sua evoluzione storica e sociale.
La ricchezza di notizie fornite non ha una sua particolare organicità finendo per banalizzare argomenti su cui esiste ben altra letteratura. Per un attento lettore, paradossalmente sembra più vantaggiosa la lettura del celebre libro di Antonio Albanese, pubblicato nel 2017 da Feltrinelli, dal titolo: Lenticchie alla julienne. Vita, ricette e show coking dello Chef Alain Tonné- forse il più grande- e ancor più attuale!