Si è conclusa domenica scorsa la centoundicesima edizione della corsa ciclistica più famosa al mondo. Una gigantesca organizzazione sportiva che ha sempre richiamato per la sua popolarità folle di spettatori assiepati lungo le strade a far da splendida cornice popolare al passaggio dei ciclisti. Uno spettacolo che nel suo epos è rimasto e rimarrà invariato nel tempo.
Il modo di correre in bici però cambia nel tempo, l’evoluzione e le trasformazioni di uno sport quale il ciclismo in particolare, ma anche di un qualsiasi altro sport, ha la sua importanza. La tecnologia permette di poter disporre di materiali diversi ad ampio spettro, dal mezzo meccanico all’abbigliamento, dall’alimentazione al piano degli allenamenti siano essi indoor o outdoor, nella corretta e sana sinergia tra l’atleta e il mezzo meccanico per ottimizzare i risultati agonistici.
In una corsa come il Tour appare assai evidente l’impiego di una struttura organizzativa che non conosce rivali e che richiede coperture finanziarie di notevole spessore. Diventa, in virtù della sponsorizzazione, a sua volta una macchina per fare soldi che però andrebbe ben tenuta sotto controllo, del resto le regole esistono, il problema è farle rispettare.
La Grande Boucle,sempre caratterizzata da percorsi con mitiche salite, nella variegata orografia del territorio francese, che son divenute quasi canoniche nel corso degli anni, permetteva nelle varie tipologie dei corridori di raggiungere risultati a dir poco epici. Non collima invece con il modo di correre a partire dagli ultimi decenni (1998).
La stampa sportiva enfatizza fin troppo i cosiddetti campioni di oggi, ridotti solo a delle pedine super tecnologizzate, computerizzate annichilando l’elemento umano vero che dovrebbe fare la differenza. A cosa servono nelle varie tappe le tante salite e discese storiche che hanno fatto la storia della kermesse transalpina, e davano a tutti i corridori la possibilità di emergere in un epico agonismo, nelle salite come nelle discese per ottenere risultati ancora oggi non facilmente superati. Adesso assistiamo a piccole scaramucce durante tapponi con altimetrie impegnative nell’attesa dell’ultima salita, dove i big, solo dopo avere spremuto i possibili compagni di squadra, fanno un patetico allungo per guadagnare il successo di tappa e relativi abbuoni nella classifica generale!
Se questo purtroppo è il ciclismo moderno ci lascia stupefatti e col ragionevole dubbio che anche gli aiutini farmacologici, per dirla con un eufemismo, non mancano e forse non sono mai mancati! La storia ufficiale delle grandi corse a tappe ne è ricca di testimonianze. È assai strano che questi novelli atleti siano soggetti a particolari e frequenti patologie allergiche e respiratorie, se non addirittura a infezioni Covidladdove in una disciplina sportiva come il ciclismo, la capacità polmonare dovrebbe mantenersi su valori elevati! Qualcosa non torna, lo sanno bene i tanti cantori della carta stampata e della rete mediatica che si divertono a portare questi novelli e mitici eroi sugli altari con smisurata enfatizzazione per poi dileguarsi con fare meschino?
Basti ricordare la vicenda del povero Marco Pantani, ma il dio danaro conosce ben altra magnanimità!