Sulle tracce del tesoro di Arioso

La notizia dell’eccezionale scoperta dello scheletro di un gigante di oltre tre metri, (https://www.radionff.it//il-mistero-del-gigante-di-arioso-pz/) avvenuta nel 1747 ad Arioso, una terra al limitare del comune di Pignola (PZ), si riverbera su antiche leggende, un tempo patrimonio condiviso ed oggi ormai note solo agli anziani del posto.

Una di queste leggende, infatti, racconta di un giovane funaio che per vendere la sua merce frequentava fiere e mercati anche di centri lontani. Quando accadeva, impossibilitato a fare ritorno a casa e non potendosi permettere il costo di un alloggio, bivaccava in posti di fortuna. Durante una notte particolarmente disturbata dai tuoni, il giovane si ritirò a dormire sotto il suo carretto. Fu una notte chiassosa e dormì veramente poco, per di più disturbato da uno strano sogno. Al risveglio non ne ricordava più i contorni, ma una frase gli era rimasta bene in mente: “A Benevendë, annosëlë e sendë”, ossia, “A Benevento, osserva e ascolta”.

Quella volta, stranamente, il giovane era proprio diretto a Benevento e di buon’ora vi si diresse. Purtroppo la giornata non gli fu proficua e vendette poca merce. Affranto, alle prime ombre della sera si apprestò a recuperare le sue cose. Prima di ripartire si ricordò del sogno (annosëlë) e si guardò bene intorno. Vide un monaco che arrivava a fatica e lo aspettò. Il religioso viveva di carità e non aveva di che pagare, così il funaio gli donò qualche metro di corda affinché potesse farne il cordone per il saio. Il monaco, forse per ricambiare la gentilezza, gli raccomandò:

Vai all’Arioso e sotto un noce, troverai un tesoro glorioso”.

Quella notte, il giovane non riuscì a prendere sonno, non riusciva a spiegarsi come il monaco potesse conoscere Arioso. Lui, invece, sapeva bene dove si trovava e gli era difficile credere che tra quei quattro tuguri di contadini poverissimi e i ruderi di una “terra” disgraziata potesse esserci un tesoro. Comunque, una volta tornato ad Arioso si mise in cerca seguendo le indicazioni del religioso. Il monaco non lo aveva imbrogliato perché proprio sotto un noce rinvenne il ricco tesoro che gli consentì di acquistare l’intero feudo di Arioso.

Come detto, ci troviamo di fronte ad una leggenda che, in quanto tale, si dimostra come un racconto di fantasia, arricchito ed adattato nel corso degli anni dall’intervento di più soggetti, ma che per sua natura spesso contiene un fondo di verità.

La nostra storia, pertanto, non dovrebbe sfuggire alla regola. In effetti, essa presenta elementi interessanti che ad una accurata analisi ridisegnano un quadro alquanto verosimile. Proviamo a spiegarci meglio incominciando col dire che la nostra leggenda indica come luogo del ritrovamento del tesoro i ruderi dell’originario insediamento di Arioso, chiamato Castelglorioso. Spesso, bisogna dirlo, nelle leggende di fantastici tesori si fa riferimento proprio a ruderi e antichi castelli, non lo sottovalutiamo affatto, ma nemmeno per questo cediamo a facili conclusioni.

Ma veniamo a Castelglorioso: un insediamento già presente in periodo longobardo che misteriosamente viene abbandonato e “scompare” intorno al 1400.  Probabilmente le cause dell’abbandono sono da ascriversi a calamità naturali, incendio o più probabilmente terremoto, e un evento disastroso, si sa, potrebbe aver contribuito a mantenere celato il fantomatico tesoro.

A rafforzare l’ipotesi della presenza di un tesoro o qualcosa di prezioso che sia, contribuisce la scoperta dell’enorme “sarcofago” contenente i resti di un gigante.

L’imponente “cassa di creta cotta” contenente il gigante, lunga m. 3,60, venne infatti rinvenuta disposta in verticale, “all’impiedi in terra piantata”, al centro di un cerchio di fabbriche, realizzato con mattoni di grandi dimensioni, per un’altezza di circa un metro e mezzo, che la sorreggevano.

Evidentemente il gigante non doveva essere seppellito ma tenuto ben “esposto” alla vista, con una funzione ben precisa che non si esclude possa essere quella di “guardiano del tesoro”. La scelta di utilizzare giganti e titani per tali scopi, infatti, non era affatto rara, si pensi che Ludovico il Moro “a guardia” della sala del suo tesoro fece realizzare un affresco che ritraeva Argo, il gigante dai cento occhi. 

L’altro aspetto particolare della nostra leggenda, invece, riguarda il sito e il soggetto della “rivelazione”: Benevento e il monaco.

È unanimemente riconosciuto, infatti, il legame tra la città di Benevento e le streghe, le quali, secondo la tradizione popolare, si danno convegno proprio sotto un noce della città. Sarebbe stato più logico, quindi, che la leggenda raccontata dal popolo vedesse nelle streghe la fonte del messaggio. Nel nostro caso, invece, a rivelare l’esistenza del “tesoro glorioso” è un monaco che, bisogna dirlo, pure “sceglie” un noce come indicatore “geografico” o punto di riferimento. L’apparente incongruenza del racconto assume invece una certa solidità se si considera che Benevento è stata anche la capitale del Ducato Longobardo. Esso rappresentò la parte più meridionale del loro dominio in Italia e contenne l’intera Lucania.

A Benevento, i “gloriosi longobardi” usavano celebrare uno dei loro riti più significativi proprio sotto un noce, albero consacrato a Wotan, il dio germanico della guerra. Pertanto, il richiamo ai longobardi appare evidente nella nostra leggenda, per di più è certo che Castelglorioso fu nel possesso longobardo.

E forse non è per caso che agli inizi dell’ottocento il protagonista della leggenda diventi un certo Lombardi, magari adottato per una grossolana assonanza fonetica con longobardi. In quegli anni, un “barone” Lombardi acquistò realmente i diritti sul feudo e i contadini sospettarono che lo avesse fatto grazie all’oro del tesoro, dimenticando che l’uomo era già ricco di suo. 

Tutto concorre a rafforzare l’ipotesi che la leggenda riferisca di un tesoro longobardo, anche se è difficile darne certezza. Eppure un’altra interessante rispondenza si ritrova nella rappresentazione del tesoro di Castelglorioso che, secondo la leggenda, conterrebbe anche una “chioccia tutta d’oro, con pulcini al seguito”. La descrizione combacia perfettamente con la chioccia d’oro, oggi conservata nel Museo del Duomo di Monza (vedi foto), rinvenuta nella tomba della regina longobarda Teodolinda.

Nessuno però poteva dire di averla mai vista e tantomeno nelle “mani” del barone, ma questo nulla toglie alle connotazioni longobarde della leggenda. Se poi l’esistenza del tesoro sia reale o fantastica resta un mistero.

A parlare di tesori longobardi, la memoria ci riporta al ricordo del mitico tesoro di Alboino, sottratto dalla moglie Rosmunda e dal suo amante in fuga verso Ravenna dopo averlo assassinato. Quei preziosi vennero ceduti in cambio di asilo e protezione; il tutto venne poi inviato a Costantinopoli, probabilmente via mare, quindi ben lontano dalle nostre terre. Certo non ci sogneremo mai di accostare le due cose, anche perché più interessante e ben più “vicino” alle nostre realtà è, invece, il ritrovamento a Senise (PZ) di un “tesoro longobardo”, costituito da anelli, orecchini e fibule d’oro. In conclusione, a giudicare dal racconto dei non più giovanissimi abitanti del circondario, il tesoro potrebbe ancora trovarsi da qualche parte. Alcuni ci indicano un preciso ingresso tra le rovine, altri, invece, segnalano una buca profonda nei pressi della pittoresca cascata, dove sanno di un antico noce, ma non ne hanno memoria diretta.

Vincenzo Ferretti
Vincenzo Ferretti
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