Non è accettabile in alcun modo voler dare giudizi storici seguendo la tanto diffusa teoria della citazione. Non basta citare un illustre storico come Piero Camporesi, bisogna ad essere onesti, aver letto e compreso i suoi scritti originali.
Il “giro gastro-farmaceutico ecumenico” che il nostro talentuoso lucano compie non presenta alcuna originalità, semmai una protervia e insistente autocelebrazione di un bagaglio culturale limitato, pescando in campi pluridisciplinari e naufragando in un linguaggio lessicale che non certo gli appartiene.
Parla di latitudine dei sapori, si ha invece l’impressione che sia perfettamente a digiuno di conoscenze topografiche, si perde nei meandri di complesse tematiche dell’immaginario alimentare e anche gastronomiche citando Brillat Savarin ma ignora figure dei secoli passati che di queste tematiche hanno scritto importanti opere, dal maestro di tutte le arti Leonardo Passavanti a Donno Alessio Piemontese o alla Piazza universale di tutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni Meglietti, solo per elencarne alcuni. I riferimenti mitologici sono importanti ma la loro iterazione continua diventa stuccosa se non indagata nei suoi contesti essenziali.
Come sia possibile passare da “Stagliuozzo” in un crescendo rossiniano al “recinto o il muricciolo come quelli di Pascalotto, di Ciummella, di U rrùs, di Tronc tronc, di quelli che costeggiavano il Basento” (sic) ha davvero qualcosa di trascendentale!