In Italia si evade tanto, così come prolifera il lavoro nero. E meno male! Mi spiego. Chi evade, il frutto dell’evasione, che consiste in un guadagno del proprio lavoro, lo reimpiega nel sistema economico. Una volta ci faceva le vacanze, andava a mangiare al ristorante o acquistava automobili, oltre a vestiti, orologi e gioielli. Al più, se tendente all’avaro, lo immetteva nel circuito finanziario del risparmio. Oggi ci paga le bollette. In ogni caso la reimmissione in circolo del guadagno era totale, consentendo che il sistema ne usufruisse al cento per cento, alimentandolo di continuo e senza sconti.
Se il frutto dell’evasione fosse stato dichiarato e tassato, la percentuale di tasse, ben corposa, sarebbe finita nei meandri della burocrazia, alimentando sì, la produzione e l’offerta dei servizi, per quanto scadenti, ma alimentando anche la dispersione di ricchezze come solo il servizio pubblico riesce a fare. Pagare le tasse, infatti, significa mettere nelle mani dello Stato una quantità di danaro ingentissima, per noi italiani, salvo vederne riutilizzata una piccola parte e peraltro malissimo. Come dare a un imbroglione i propri risparmi perché vengano investiti.
Il circuito del nero è, pertanto, in un certo qual modo virtuoso. In altri termini, senza nero un impiegato che arrotonda, non spenderebbe quel danaro che invece consegna allo stato. Il danaro consegnato allo stato non fa bene all’economia come quello fatto circolare a nero.
Sarebbe diverso se la tassazione fosse giusta e proporzionata e, soprattutto, offrisse servizi di qualità.
Per esempio, un lucano, che delle ferrovie fa un uso sporadico e occasionale e che invece deve avere sempre un’autovettura per rimanere incolonnato sulla Basentana, riceve indietro, come servizi, molto meno di un milanese, spende molto di più, in danaro e tempo per muoversi e risulta meno efficiente.
Ma un altro esempio è fornito dalla Sanità. Un lucano, non per capriccio, ma per amore di se stesso, spesso ricorre a cure a pagamento fuori regione, ma anche se a carico del servizio nazionale, spendendoci molto danaro per contorno, tipo viaggi, cibo e pernottamenti dei familiari, ma ha uguale aliquota del solito milanese che non muove un passo per farsi curare, e meglio.
Quindi, sempre per fare un altro esempio, un lucano, se non evadesse, non potrebbe avere uguale capacità di spesa. Ora non venite a dirmi che se non si evadesse il servizio sanitario sarebbe migliore, semplicemente perché non ci credo. Questo va male per altri motivi, uno dei principali sono le carriere sostenute dalla politica e non dal merito, sia nei reparti, che negli uffici, cioè nella burocrazia.
L’effetto della crisi sta scoprendo le ferite. Fino a ora non si capiva come mai le spiagge e i ristoranti fossero affollati nonostante disoccupazione ecc. ecc.
Ora che i ristoranti chiudono e anche le imprese, e il nero viene usato per sopravvivere, si evidenzia l’inefficienza dello Stato italiano che eroga spiccioli a fronte dei miliardi che stati dove si pagano meno tasse riescono a mettere in circolo.
Non vorrei esagerare, ma il miglior uso che gli italiani hanno fatto dei loro guadagni a nero, rispetto a quello che ne avrebbe fatto lo Stato, ha tenuto la baracca a galla.
Infatti se è vero che un gettito maggiore di tasse avrebbe consentito maggiore disponibilità per riforme, infrastrutture e servizi migliori, è altrettanto vero che nulla avrebbe impedito ruberie, mazzette, costi di opere pubbliche moltiplicati per dieci, una vera e propria dilapidazione di danaro in enti inutili o in stipendi regalati o esorbitanti, pensioni d’oro, pensioni di invalidità fasulle e contorni vari di mala gestione, truffe e schifezze tricolori.
Ora proviamo a svolgere un tema in classe.
Una mazzetta viene dichiarata? Costituisce un guadagno a nero?
Una volta risposto ai quesiti entrare nel merito su chi paga la mazzetta, dove reperisce il relativo danaro, e se la mazzetta non sia un costo aggiuntivo dell’opera stessa, ingiustamente cresciuto.
Poi sono gradite considerazioni sulla presumibile sproporzione fra appalti e concorsi manomessi e virtuosi, formulando un’ipotesi di cittadinanza nuova senza cedere alla rassegnazione, che eviti richiami espressi alla fine del mondo o a un nuovo diluvio universale.