di asterisco
“L’acqua è un bene prezioso, non sprecarla” è il “leitmotiv” ricorrente in questo periodo di crisi idrica. E ancora “cambiamento climatico” che giustifica l’emergenza legata alla siccità. A rigor di logica possono sembrare plausibili e in una regione per quanto piccola ma ricchissima di sorgenti diventano a dir poco paradossali. I carrozzoni amministrativi e gestionali creati non sono mai stati né lo sono adesso in grado di fornire risposte plausibili. Da diversi anni le statistiche mettono la Basilicata ai primi posti nelle perdite della rete idrica per quanto riguarda l’acqua potabile, non parliamo poi dell’inquinamento crescente dei corsi d’acqua. Come cittadini ci si domanda cosa è stato fatto fino a ora in proposito? Si potrebbe facilmente rispondere: ”interrogato il morto non rispose”! Forse le tante perdite della rete idrica nell’immediato circondario rurale fanno comodo a qualcuno? Controlli in tal senso non se ne vedono, sembra che si aspetti la rottura di qualche grossa tubazione per dimostrare poi la celerità dell’intervento di riparazione, per tutto il resto non vien fatto nulla!
Si parla di un comitato per la gestione della crisi idrica, ma non si fa alcun cenno al modo sconsiderato con cui l’Ente preposto gestisce l’amministrazione del servizio idrico. Unica certezza: chi deve essere controllato, controlla e il gioco è fatto. Il povero utente è allettato da una prolissa documentazione contabile dei consumi tramite una bolletta di più pagine, allineata alle norme giuridiche vigenti, con i dati sulla qualità dell’acqua ed eventuali ambigui alleggerimenti fiscali per i più fortunati, saltando a piè pari notizie sulla qualità del servizio in generale.
E pensare che nell’antichità figure tecniche di rilievo come Sesto Giulio Frontino nel suo trattato “Sugli acquedotti della città di Roma” nel dare risalto alla innata capacità dei Romani di saper sfruttare le acque del Tevere e delle sorgenti nel modo migliore, nello stesso tempo sottolineava l’importanza di “mantenerne la venerazione e il culto, ritenendole atte a ridare la salute agli infermi, come quella delle ninfe Camene, di Apollo o di Giuturna”. Veniva tenuta in gran conto la sacralità legata a tali sorgenti, fonti di purificazione e rigenerazione, luoghi in cui si facevano sacrifici per ingraziarsi il nume tutelare in periodi di siccità. Azioni successivamente mutuate nel mondo cristiano in manifestazioni religiose per chiedere la protezione divina nelle calamità.
Se ritorniamo alla nostrana attualità ci viene spontaneo riconoscere a chi gestisce il servizio idrico una “laicità” sorprendente, altro che sacralità delle sorgenti che sono state abbandonate o regalate per solidarietà politiche ormai datate e imprevidenti. Progettazioni idrauliche senza prospettive lungimiranti, che manco a dirlo sembra facciano acqua da tutte le parti!
Torniamo allora con forza alla religiosità che caratterizza gli abitanti della Basilicata e qualche altra processione di penitenza non sarebbe inopportuna e con in testa tutto lo staff dirigenziale dell’Ente gestore col grido all’unìsono: “sacralità vuol dire fruibilità”!