Stati Uniti leader mondiali del gas naturale liquefatto

Nei prossimi anni, gli Stati Uniti si avviano a consolidare il ruolo di primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto (gnl). L’ultimo tassello di una crescita costante della produzione di gnl è la costruzione dell’impianto di Plaquemines, in Louisiana. Quando sarà completato, entro il 2025, triplicherà la produzione di gas made in Usa destinato all’estero rispetto a quanto avveniva nel 2019.
Un destino davvero imprevedibile nel 2016, quando l’allora presidente Donald Trump diede un impulso massiccio alle concessioni interne alla produzione di gnl. La mossa di The Donald sembrava soprattutto uno spunto ideologico, un favore agli sponsor elettorali legati alla produzione di energie fossili più che una speculazione a beneficio degli Stati Uniti. Il business del gnl non era mai stato così povero. Nel 2016 il prezzo del gas naturale liquefatto era ai minimi dal 2008. Solo sei anni dopo, a causa della crisi di approvvigionamento innescata dalla guerra in Ucraina, il mondo si è rovesciato. A tutto vantaggio di chi produce gas negli Stati Uniti.
A febbraio del 2016 il prezzo dei futures del gas naturale negli Stati Uniti aveva toccato i 2 dollari per milione di British termal unit (Btu). Per dare un’idea, si tratta di una cifra che si era dimezzata in soli due anni. Appariva come un segnale chiaro: il gnl americano si era trasformato in un business in perdita. Il 2016 è stato l’ultimo anno del secondo mandato di Barack Obama che aveva aperto ad un futuro “green” made in Usa. L’Europa, che rimaneva il mercato più interessante a livello globale per uso di gas, era già servita da Russia, Qatar, Algeria a prezzi molto bassi e il gnl copriva appena il 14% del totale di gas importato (circa 423 miliardi di metri cubi): di questa percentuale, il gas naturale statunitense rappresentava solo il 3%.
La strada per il business del gnl americano sembrava essere arrivata al termine. Eppure, proprio alla fine dell’amministrazione dell’ex presidente Barack Obama, fu approvata la realizzazione dell’impianto di Ggnl Sabine Pass, destinato all’export. Era il preludio di una rinascita.
A pochi mesi dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca è stata approvata la realizzazione di 5 nuovi impianti: altri ne sarebbero seguiti fino a oggi. Il risultato è che nella prima metà del 2022 gli Stati Uniti sono diventati il primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto. Passando da zero nel 2015 a 14 miliardi di metri cubi di gnl nel 2022 e puntando ad arrivare a 20 miliardi di metri cubi entro la fine del 2025, grazie alla realizzazione di altri 4 impianti estrattivi approvati questa volta sotto la presidenza di Joe Biden. E la situazione geopolitica ha fatto la fortuna di questi investimenti: ad agosto scorso, per la prima volta dal 2008, i prezzi dei futures del gas naturale hanno sfiorato i 10 dollari per milione di Btu. Quasi cinque volte tanto rispetto al 2016.
A novembre del 2015, in piena presidenza Obama, fu annunciata la realizzazione dell’impianto di gnl Sabine Pass. Uno dei più celebri siti di monitoraggio sul greenwashing, Desmog, descrisse ai tempi come Cheniere Energy, l’azienda proprietaria di Sabine Pass, fosse stata “la prima società nell’era del fracking a ricevere un permesso di esportazione dall’amministrazione Obama nel 2012” e che nel suo consiglio di amministrazione figurasse Heather Zichal, la consulente di Obama sui temi energetici e climatici. Anche Ankit Desai, ex assistente dell’allora vicepresidente Joe Biden, aveva lavorato come lobbista per la Cheniere Energy.
L’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump ha dato un impulso determinante alla costruzione di nuovi impianti di gnl. Sotto la sua guida, il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha consentito di estendere le esportazioni di gas naturale liquefatto ai Paesi non aderenti ad accordi di libero scambio (non-Fta) fino all’anno 2050. L’obiettivo dichiarato (ad oggi, conquistato) era quello di diventare il primo esportatore verso il Vecchio continente. Durante gli anni dell’amministrazione Trump sono stati realizzati cinque impianti di estrazione di Gnl: Cove Point, Corpus Christi, Elba Island, Cameron, Freeport. D’altra parte, è con l’arrivo di Joe Biden in Pennsylvanya Avenue che si è passati quasi al raddoppio della produzione di gas naturale liquefatto negli Usa ai fini di export. Durante la sua amministrazione sono stati realizzati e progettati altri quattro impianti: Calcasieu Pass, Golden Pass, Corpus Christi stage III, e infine Plaquemines. Entro il gennaio del 2026 queste quattro strutture estrattive permetteranno di passare dagli attuali 12 miliardi di metri cubi di gas liquefatto negli Stati Uniti a 20.
L’impianto di Plaquemines in Lousiana è l’ultimo step per consolidare una strategia decennale che ha visto gli Usa conquistare lo scranno di primo produttore mondiale di gnl. A realizzarlo saranno Baker Hughes (da un punto di vista tecnologico) e Venture Global Lng, con il ruolo di finanziatore e che per adesso ha raccolto 13,2 miliardi di dollari per la realizzazione di Plaquemines. Due colossi che avevano lavorato insieme già alla realizzazione di Calcasieu Pass che secondo Baker Hughes detiene il record mondiale per la costruzione più veloce di un progetto gnl greenfield su larga scala: dalla decisione finale di investimento alla produzione del primo gas liquefatto sono passati appena 29 mesi.
Tanta velocità nasce da una domanda di gas esplosa a causa della crisi scaturita dalla guerra in Ucraina. E che le aziende del settore vogliono conquistare. Rod Christie, presidente e amministratore delegato del business Turbomachinery & Process Solutions di Baker Hughes ha dichiarato:
Nella realizzazione di Plaquemines saranno coinvolti anche i siti in Italia di Baker Hughes: Firenze, Massa e Avenza, dove l’azienda americana produrrà, assemblerà e collauderà le turbomacchine e le unità modulari del progetto. Plaquemines è il primo terminale di gnl approvato negli Stati Uniti dopo che la guerra in Ucraina ha indotto l’aumento della domanda di forniture di gas. Domanda che ora in Europa, a causa delle sanzioni, non può più essere esaudita dalla Russia.
Entro il 2027 l’Europa intende essere indipendente dal gas russo. Per farlo sta ricorrendo a nuovi accordi che sostituiscano quelli con Mosca: i principali esportatori oggi sono Mozambico, Qatar e soprattutto gli Usa, in primissima posizione.
Il centro studi Global Data prevede che gli Stati Uniti rappresenteranno il 57% delle nuova capacita di liquefazione di gas naturale che sarà disponibile tra il 2022 e il 2026. Per questo l’Unione europea ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di gnl solo nel 2022. E così il Vecchio continente ha preso il posto dell’Asia come motore di crescita della domanda di gas naturale liquefatto. Un grande problema per l’impatto energetico globale, dato che si liberano investimenti in giacimenti di energie non rinnovabili che fino a qualche anno erano stati praticamente abbandonati. Proprio con lo scopo di passare alle rinnovabili e di conquistare l’ambita transizione energetica.
Adesso, secondo un’analisi della rivista online Rystad Energy, gli investimenti globali nel gnl dovrebbero raddoppiare e raggiungere i 42 miliardi di dollari entro il 2024. Visti gli accordi in atto, gli Usa potrebbero diventare il primo provider di gnl per il Vecchio continente. Dando per scontato che la Russia non terminerà di produrre gas si aprono nuove estrazioni massicce che non potranno che aggravare l’impronta umana in termini di sfruttamento delle energie fossili. Così, il percorso avviato dalla Commissione europea con la grande scommessa di fare dell’Europa il primo continente a impatto zero entro il 2050, anche attraverso le misure European Green Deal, potrebbe perdere di sostanza ai fini dell’obiettivo di abbattere le emissioni globali di Co2. Il tutto proprio a causa dell’energia di cui ha e avrà bisogno il Vecchio Continente, che non ha più la leva del gas russo e che sarà costretto a pagare a caro prezzo le forniture di gnl che arriveranno da oltre oceano.

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