C’era una volta, in un angolo remoto e pittoresco dell’Italia, una regione chiamata Basilicata famosa per il suo stemma glorioso che raffigurava quattro fiumi – il Basento, il Sinni, il Bradano e l’Agri – simboli di un’abbondanza d’acqua degna del più fertile dei paradisi terrestri. In questa terra baciata dalla generosità delle sorgenti, circondata da montagne che sembravano voler competere con le alpi per la purezza delle loro acque, si trovavano bacini idrici che avrebbero fatto invidia agli ingegneri romani. Eppure, come in una beffa del destino o in una burla degli dei dell’Olimpo, la Basilicata soffriva di una sete inestinguibile.
Ora, immaginatevi i Lucani, abitanti di questa terra paradisiaca, che ogni giorno si trovavano a fronteggiare un dilemma degno delle migliori commedie assurde: acqua dappertutto e qualche goccia da bere! L’acqua veniva razionata come se fosse oro liquido e i cittadini si trovavano a lottare per ogni millilitro, mentre i loro vicini pugliesi ricevevano allegramente flussi continui come se fossero i beniamini di un dio particolarmente generoso.
La rete idrica della Basilicata, se così vogliamo chiamarla, era un capolavoro dell’inefficienza. Ogni tubatura sembrava essere stata progettata da un artista cubista, con più buchi che materiale solido. Se Leonardo da Vinci fosse stato vivo avrebbe sicuramente trovato ispirazione in questa infrastruttura colabrodo per uno dei suoi progetti più folli. Ma qui non parliamo di arte bensì di vita quotidiana e le conseguenze erano tutt’altro che esteticamente piacevoli.
Gli enti preposti alla gestione delle acque erano una vera e propria armata Brancaleone, più impegnata in acrobazie burocratiche che nella risoluzione dei problemi idrici. Ogni dipendente, dal più alto dirigente al più umile tecnico, sembrava avere un’unica missione: passare la patata bollente al collega successivo in un gioco infinito di rimpalli di responsabilità. Era una danza comica di incompetenza e inefficacia che avrebbe fatto impallidire persino i più grandi commediografi greci.
“Ehi, ma perché non c’è acqua nei nostri rubinetti?” si chiedevano i Lucani, sorseggiando l’ultimo residuo del loro razionamento quotidiano. “Beh, è colpa delle scarse precipitazioni”, rispondevano i burocrati, con la faccia seria di chi cerca di convincere un bambino che la luna è fatta di formaggio. Ma come poteva la scarsità di pioggia giustificare la presenza di tutte quelle sorgenti inutilizzate? Era un mistero degno dei più intricati racconti mitologici.
Le giustificazioni piovevano, paradossalmente, come una pioggia torrenziale. “È la colpa delle stagioni, della geografia, del cambiamento climatico!” dichiaravano gli esperti con aria sapiente. E intanto i fiumi continuavano a scorrere e le sorgenti a sgorgare. Era come se la natura stessa ridesse di gusto alle spalle dei poveri Lucani, vittime di una commedia dell’assurdo in cui l’unico atto mancava sempre.
Immaginate quindi un paesaggio idilliaco, dove l’acqua era la protagonista di un’epopea senza fine e i Lucani, con ironia e rassegnazione, si trovavano a vivere il loro quotidiano assurdamente paradossale. Guardavano i loro fiumi scorrere verso il mare, le loro sorgenti cantare canzoni d’abbondanza e i loro rubinetti gocciolare con parsimonia, come se volessero conservare ogni goccia per un futuro incerto.
“Ma chi sono questi geni che gestiscono la nostra acqua?” si chiedevano i Lucani, con un sorriso ironico che nascondeva la frustrazione. “Sono i custodi del nulla, i guardiani del vuoto, i maghi della scarsità in un regno di abbondanza!”. E ogni giorno si trovavano a celebrare questa tragicommedia con un’ironia tagliente, sapendo bene che, in fondo, erano i protagonisti di una storia che nemmeno il più brillante degli autori avrebbe saputo inventare. La Basilicata continuava a vivere il suo paradosso, un luogo dove l’acqua era una promessa non mantenuta, una risorsa abbondante eppure introvabile, una benedizione trasformata in maledizione per colpa di una gestione che faceva acqua da tutte le parti. E mentre i Lucani ridevano amaramente della loro sorte, non potevano fare a meno di sperare che, un giorno, qualcuno riuscisse a risolvere l’enigma più grande di tutti: come far scorrere l’acqua dove già abbonda.