La domanda chiave

Se c’è una riforma della giustizia urgente, ebbene è quella che deve restituire dignità al processo, rendendolo credibile. Non è credibile, infatti, un processo che giudica fatti dopo tanti anni, assumendo i contorni della commedia, talvolta della farsa.

Sentire testimoni che, puntualmente (beati loro) o confusamente, ricordano episodi specifici avvenuti un decennio prima, talvolta un po’ meno, talvolta un po’ di più, di una valenza ormai ridicola (Mi dica, ricorda lei se il 23 marzo del 2014 Tizio era in via Vaccaro a bordo della sua autovettura e di quale colore era l’auto?), considerato che il teste giura di dire la verità e se non ricorda detta sospetti, è un’operazione insieme di tortura e di una noia mortale.

Diverso se il testimone venisse ascoltato diciamo entro un anno, avrebbe almeno il sapore della contestualità (più o meno), il danno lamentato sarebbe ancora vivo. Diversamente sembra di stare sul palcoscenico di un’opera teatrale surreale.

Invece va avanti così da sempre, senza che nessuno, nel bel mezzo di una prova per testi, sia scoppiato a ridere a crepapelle all’ennesima buffonata procedurale di cui offro uno spaccato di sceneggiatura:

l’avvocato corruga la fronte, posa la stilo sul quaderno degli appunti, alza lo sguardo e prorompe in un “evidentemente lei sa dirmi se era presente anche la zia dell’attore”, il giudice ferma l’avvocato “la domanda è mal posta, anzi insinuante”, “la correggo Giudice “chi era presente?”, “così può farla, prego”, completa il giudice.

Beh?, non fa scompisciare?

Ebbene è la giustizia italiana. Giuro che va così. Il tutto dopo che l’udienza è stata fissata qualche mese prima e prima della farsa le parti e il testimone hanno aspettato un’oretta e il palcoscenico è costituito da una stanzetta poco areata, quasi buia, con la luce elettrica anche in primavera, dove gli avvocati e il testimone stanno in piedi e il teste pure, ma dopo aver solennemente recitato la formula di impegno di dire la verità.

Roba dell’altro mondo, ma questa è la giustizia italiana.

Uno spettacolo indecente che porta sempre svariati anni di ritardo.

E io faccio questo lavoro da quarant’anni.

Dice “e come hai fatto”?

Francamente non lo so, ma posso dire a mia discolpa che le farse in tribunale vengono intervallate da studio, ricerche e atti scritti articolati in maniera sempre diversa e su argomenti sempre anche loro differenti.

Ovvio che a ogni riforma, ne ho contate decine in questi anni, mi faccio il segno della croce, la studio e aspetto il suo fallimento.

In contemporanea questo servizio, che è addirittura più scadente del servizio urbano a Roma, costa sempre di più e ha le caratteristiche di una pratica sadica e lussuosa, che, a oggi, nessuno ha voluto migliorare, o non ha saputo migliorare, che suona anche peggio.

E ora chiediamo al teste se quel giorno di tanti anni fa il sole faceva capolino fra le nuvole, o se, invece, si sudava stando fermi.

Luciano Petrullo
Luciano Petrullo
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