Il merito innanzitutto. Largo ai migliori. Come col governo Draghi, emblema del merito e dei migliori che la sanno lunga. Infatti il ministro Cartabia elaborò una epocale riforma della giustizia dimenticando di inserire quella che, da quando l’uomo ha inventato il diritto, è la ciliegina di ogni riforma e cioè la norma transitoria, senza della quale, in una semplice espressione, non si capisce niente.
Ma era la migliore in un governo di migliori, dicevano.
Delle due, quindi, l’una: o non era il governo dei migliori e ci hanno venduto il pacco alla stazione di servizio dell’autostrada con due pacchi di sale dentro, al posto della agognata cinepresa con annesso cellulare, come consuetudine del malaffare italiano, o i migliori non servono a nulla.
Opterei per la prima ipotesi, continuando a pensare che i migliori, per esempio un magistrato migliore di un altro, facciano la differenza.
Perché, alla fine, è sempre una questione di merito: un avvocato più bravo di un altro fa la differenza in un’aula di giustizia, come un chirurgo migliore di un altro in sala operatoria. Ma anche come un impiegato delle poste più veloce e intuitivo, un cancelliere intelligente e fattivo, o un pizzaiolo, un carabiniere, un imbianchino e un addetto alla pulizia dei bagni pubblici, più validi dei loro colleghi.
Il merito fa la differenza, sempre e comunque.
Tutti vorremmo avere a che fare col merito, vivremmo irrimediabilmente meglio tutti.
La scuola deve servire a far uscire il merito, deve mandare avanti e sostenere con ogni mezzo chi merita e avere pazienza con chi meriti proprio non ne abbia, cercando comunque di migliorarlo, di insegnargli qualcosa che possa farlo emergere da qualche parte, alzando il livello medio esistente.
Invece la scuola finisce per livellare, per riservare uguali attenzioni a situazioni differenti, che invece richiedono metodi diversi: quelli per favorire il merito e quelli per migliorare chi non merita e trovargli un dignitoso posto nel mondo.
Io credo che ognuno sappia farsi valere in qualche campo, ognuno abbia, cioè, un merito. Ecco, la scuola dovrebbe servire per aiutarlo a capire quale sia il suo campo di azione.
Invece la scuola è piatta ed emerge chi sa far di suo, ovvero emerge chi riesce a garantirsi una scuola di assoluta qualità, magari privata, alla quale, in fin dei conti, lo Stato dovrebbe consentirne l’accesso anche ai bravi che non hanno possibilità economiche, altrimenti, consentendo colpevolmente che la frattura esistente fra ricchi e poveri si acuisca.
In altri termini lo Stato dovrebbe capire il livello qualitativo effettivo della scuola, metabolizzare il dato e, o migliorare la qualità in maniera esponenziale, applicando appunto il merito, o favorire l’inserimento di chi non ha possibilità ma merita, all’interno di queste strutture d’eccellenza.
Così possiamo progettare un Italia migliore.
Il merito, in effetti, manca da decenni e in ogni ambito. Ricordo solo come le carriere più sensibili, come quelle dei medici o dei magistrati, siano state vittime del sistema clientelare, che ha contaminato anche i concorsi pubblici, le nomine apicali e quindi la burocrazia tutta.
Per un cambiamento che sia davvero tale, occorre una rivoluzione in seno alla politica, che chissà quanto il nuovo governo Meloni potrà garantire.
Le carriere nei partiti soffrono della stessa malattia. Anche quello di Meloni, perbacco. Avrà anche scalato, per merito, ogni gradino, Meloni, ma nel suo partito non sempre i migliori hanno fatto carriera, anzi, ha consentito, spesso, che l’ultimo arrivato, privo inequivocabilmente di meriti particolari, occupasse posizioni di comando per poi diventare il rappresentante del popolo alle camere o l’assessore di turno o chissà quale altra diavoleria.
Potrebbe essersi trattato di una strategia per crescere di numero in fretta, può darsi, ma presto sapremo se è stato solo un mezzo o se si tratti di un metodo vero e proprio.
Insomma, la sofferenza dei partiti è uguale da tutte le parti, possono predicare quello che vogliono ma razzolano tutti nell’identica maniera. Certo, governare è un’altra cosa, o meglio potrebbe essere un’altra cosa e, considerato che Meloni sa cosa significa doversi imporre contro tutto e tutti, fare sacrifici e vedere un risultato, dovrebbe sapere di cosa sto parlando.
Io non nutro particolari speranze, ma neanche sono scettico. Il tempo, e anche molto presto, saprà dirci se abbiamo imboccato la strada giusta, cosa probabile per mille e un motivo, o se non ci troviamo ancora davanti all’ennesimo bluff, dopo Berlusconi, Grillo, Salvini, e il pacchetto unico del PD, che ha dalla sua, esclusivamente, il non avere un’unica faccia, ma tante, però, tutte uguali.
Per dire.