Mi sono sempre chiesto se Mattarella i suoi discorsi se li scrive da solo o se c’è un apposito staff a riguardo. La logica farebbe propendere per un sofisticato (?) staff, ma continuo a sognare che non sia così. Ma se a vincere fosse la logica e quindi esistesse davvero uno staff specializzato nelle esternazioni del Presidente, diventa assolutamente necessario conoscerne i limiti. E mi spiego.
Se a dare l’input è Mattarella, cioè se è lui a far presente sinteticamente cosa vuole dire, e poi, per ragioni di tempo e di sfumature, ci sia una squadra a sollevarlo del lavoro materiale, beh, tutto a posto.
Ma se lo stesso staff, o addirittura altri, si prendono la briga di decidere anche cosa dire, beh, in questo caso sarebbe opportuno, ma che dico, doveroso, sapere chi sia o siano e soprattutto conoscere chi gli ha dato questo potere.
Sempre la logica impone, però, salvo prova contraria, che sia lo stesso Presidente a scegliersi lo staff, e sarebbe interessante conoscere quali margini di autonomia il Presidente gli conceda.
Mi immagino, però, che, stante la periodica gran mole di lavoro (oggi una inaugurazione qui, domani un centenario, lì, e la celebrazione l’altro giorno ecc.), non sia possibile al Presidente di dettare ogni linea e che, in tali casi si affidi completamente allo staff.
Ora è evidente che questo sia del tutto affidabile, ma facciamo il caso, tutto italiano, che qualcuno sia servo di due padroni, dico uno dello staff, e che, per celia, progetto politico o per un cromosoma anarchico, approfittando di un momento molto caldo, si diverta a inserire un inciso, una frase, un concetto, nel discorso del tal giorno del Presidente, che possa essere in grado di creare sconquassi nella politica italiana, europea o mondiale. E, sempre per gioco, facciamo il caso che un tanto sia già avvenuto e più volte. Beh, aprirebbe squarci di realtà inimmaginabili.
Semplice, quindi, che non tutto quello che dice il Presidente possa essere farina del suo personalissimo sacco.
Il problema è che, però, è lui il Presidente e non il suo staff o chi lo dirige. Diversamente il Presidente diventa un burattino. E, alla fin fine, non è detto che non lo sia, e lo dico con rispetto parlando.
Come il nostro Presidente si potrebbe dire lo stesso di tanti altri capi, salvo di quelli che si fanno ogni cosa da soli. Ma questo è il rischio di ogni regime o sistema o micro sistema democratico, dove le maggioranze, lecitamente o subdolamente formate, possono alterare i risultati delle votazioni, facendo eleggere un ottimo e promettente burattino.
Che, alla fine, non sia proprio così, è difficile da immaginare, vista la inconsistenza genetica della maggior parte dei leaders. A ripercorrere la storia se ne trovano a bizzeffe, tranne quei leaders non frutto della democrazia, ma diciamo di deriva totalitaria, che, per forza di cose, non hanno la tendenza a interpretare il ruolo del burattino, piuttosto cercando di farlo interpretare a un popolo intero.
Dimmi chi è il tuo consigliere o redattore di discorsi e ti dirò chi sei, si potrebbe usare come slogan alternativo. Per finire alla grande v’è da considerare e scegliere chi sia il prototipo iconico di burattino ideale; e a questo punto il risultato della ricerca è bell’e fatto in due secondi: il parlamentare italiano, in grado di sparare uno slogan mentre alza la mano per votare acriticamente e con disciplina militaresca.
E ho detto tutto!