Effetto Dunning Kruger: il paradosso dell’ignoranza. O meglio, quando discutiamo con un idiota, siamo sicuri che anche lui non stia facendo lo stesso? L’alta frequenza di contatti, anche a distanza, con le altre persone, ci porta a commettere sempre più facilmente lo stesso errore: considerare gli altri in errore. Il fenomeno è chiaramente definito dal 1999, anno in cui due ricercatori della Cornell University ne hanno studiato le caratteristiche ufficializzandolo come effetto Dunning-Kruger, dal nome appunto dei due psicologi studiosi della materia.
Si tratta dell’insidioso cortocircuito mentale, della distorsione cognitiva che condanna chi è incompetente a non accorgersi della propria incompetenza. La comunicazione globalizzata, l’intenso utilizzo dei social come finestra sul mondo attraverso la quale esprimersi e ricevere espressioni, sembra portare in maggiore evidenza questo effetto, che Umberto Eco definiva come espressione di una legione di imbecilli. Con grande senso di rispetto nei confronti del maestro Eco, probabilmente non si tratta di una legione di imbecilli quanto di una umana espressione dei limiti di autovalutazione, o più correttamente di supervalutazione.
Non si può neppure sostenere che il fenomeno sia nuovo in quanto, circa 1300 anni prima di Cristo il Faraone Akhenaton sembra essersi espresso in questo modo, anticipando con le sue parole l’Effetto Dunning Kruger: Il saggio dubita spesso e cambia idea. Lo stupido è ostinato, non ha dubbi. Conosce tutto fuorché la sua ignoranza.
Probabilmente, anche senza la presenza dei social già da allora l’errore era molto comune e il punto di vista del Faraone su questo bias cognitivo è illuminante.
Siamo “incastrati” all’interno di una trappola dalla quale è possibile liberarsi solo attraverso una maggiore consapevolezza dei meccanismi.
Da un lato infatti, secondo la psicologia dell’apprendimento (Albert Bandura), alla base della nostra vita e delle nostre azioni vi è un personale senso di autoefficacia che guida il nostro comportamento intenzionale. Quindi siamo “costretti” a credere in noi stessi per potere agire. La fiducia nelle proprie abilità deve essere sufficientemente elevata da consentire all’individuo di superare le proprie naturali paure di insuccesso e i limiti della propria prestazione. Dall’altro lato, il risultato di una azione dipende anche dal livello di competenza effettivo della persona.
Bilanciare i due elementi non è molto facile, soprattutto in una società che “corre” ad alta velocità e che spesso non si rende conto del rapporto tra cognizione e azione. È più facile sacrificare la verifica delle competenze a priori che aumentare “gratuitamente” il livello di autostima: impegna meno.
L’effetto Dunning-Kruger, dunque, è un pregiudizio cognitivo che porta le persone con meno abilità e conoscenze a pensare di saperne di più degli altri. Meno sanno, più pensano di sapere. Spesso chi ha questo problema tende a imporre le proprie idee anziché limitarsi a dare un parere, ritenendole verità assolute. Gli altri vengono visti come totalmente ignoranti e incompetenti anche se non lo sono. Come venne individuato questo effetto? A metà degli anni 90 nella città di Pittsburgh un 44enne fece due rapine in pieno giorno senza alcuna maschera sul viso. Ovviamente venne facilmente riconosciuto e arrestato. Si scoprì in seguito che non si era nascosto il viso perché convinto che il succo di limone, che si era distribuito sul volto prima della rapina, lo avrebbe reso invisibile. Glielo suggerirono due amici scherzando su questa tecnica improbabile. Wheeeler prese sul serio lo scherzo e decise di scattarsi una fotografia con il limone sul volto. Quest’ultimo non comparve nell’immagine e Wheeeler si convinse della sua efficacia. La storia arrivò alle orecchie del professore di psicologia sociale della Cornell University, David Dunning, che si chiese se l’incompetenza può renderci inconsapevoli di quanto siamo incompetenti. Così avvio una serie di esperimenti insieme al collega Justin Kruger e fu proprio questo studio a dare origine all’effetto Dunning-Kruger. Durante 4 esperimenti, i due psicologi analizzarono la competenza di alcune persone nel campo della grammatica, del ragionamento logico e dell’umorismo, chiedendo loro di stimare il proprio livello di competenza ed effettuando in seguito test per valutarla. Notarono quindi che più una persona era incompetente, meno ne era cosciente. Mentre le persone più competenti addirittura si sottovalutavano.
Da qui nacque l’effetto Dunning-Kruger, secondo il quale le persone con basso livello di competenza tendono costantemente a pensare di sapere più di quanto sanno, considerandosi più intelligenti. Perché si ha questa percezione distorta? Perché se non si hanno un minimo di competenze in un certo ambito, non si riesce a fare una stima realistica delle proprie prestazioni e dei propri limiti.
Tutti noi potremmo “soffrire” di questa percezione distorta, come uscirne? Gli esperti consigliano di cercare di essere consapevoli innanzitutto dell’esistenza di questo pregiudizio cognitivo, di essere aperti al dubbio, ed evitare di imporre il proprio punto di vista accettando anche quello altrui.